Domanins e don Gallo Moschetta

Visitando la sagrestia della chiesa arcipretale di S. Michele Arcangelo si nota un quadro riportante il primo piano di un sacerdote dalla figura grave e austera e dalla posa solenne. E’ una grande fotografia incorniciata e coperta da vetro che ritrae un pievano con la veste nera e con le sue molte decorazioni al petto. Il medesimo quadro lo si trova nella sede dei Donatori di sangue al primo piano della ex scuola materna in via Belvedere. Il personaggio ritratto è don Baldassarre Gallo Moschetta che fu parroco ed economo spirituale della parrocchia di S. Michele Arcangelo per quarant’anni. Il suo nome lo abbiamo incontrato nella cappella del camposanto, ove il religioso è sepolto assieme agli altri sacerdoti che nei decenni passati prestarono il loro servizio nella parrocchia di Domanins.
Il pievano di ferro
Don Gallo Moschetta – per tutti “don Gallo” – fu parroco dal 1° maggio 1932 fino al 28 settembre 1972 dopo l’ultimo anno passato in qualità di economo spirituale. La fotografia risale al 1972, nei giorni precedenti la sua dipartita da Domanins per raggiungere la casa di riposo di Spilimbergo dove, fino agli ultimi giorni della sua vita, svolse la funzione di cappellano.
Don Moschetta appare come una figura severa. Alto, calvo di capelli e dallo sguardo che incute un certo timore. E’ il volto di una persona che nacque nella povertà, nel sacrificio del lavoro e che attraversò tutti i drammi e le tragedie del Novecento affrontandole con coraggio e dignità. Gallo Moschetta condusse il suo ministero pastorale con onestà e integrità, operando al servizio dei parrocchiani e soprattutto dei più deboli con un profondo senso del dovere e di rinunce lasciando in tutti quanti un grande e indelebile ricordo.
Baldassare Moschetta – detto Gallo – nacque il 9 luglio 1896 a Soligo, frazione di Farra di Soligo, in provincia di Treviso e nell’antica diocesi di Ceneda, oggi Vittorio Veneto. Nacque in una famiglia contadina, povera e numerosa. Ottavo di quindici figli, egli emigrò nel 1907 con tutta la sua famiglia ad Azzanello di Pasiano di Pordenone lavorando nei campi e nella stalla del piccolo podere di famiglia.
Nel 1910, a quattrodici anni entra nel seminario di Portogruaro per frequentare la prima ginnasio. All’epoca il Vescovo della diocesi di Concordia è il monsignor Francesco Isola. Fra i suoi insegnanti nel prestigioso seminario ci sono Ernesto Degani il più grande storico della diocesi, Marco Belli latinista e Giovanni Battista Cesca famoso e ricercato oratore. Il giovane Moschetta frequenta l’istituto ottenendo alti voti in tutte le materie e pure la menzione di lode per “pietà”, “studio” e “disciplina”. Viene promosso tutti gli anni fino all’ultimo del ginnasio fino a quando fu costretto a sospendere gli studi seminaristici per andare in guerra.
Nel 1915 Gallo Moschetta è sottoposto alla visita militare e viene subito arruolato nel reparto della Sanità della II armata del generale Luigi Capello. Il soldato è entusiasta di partecipare alle operazioni militari sul Carso animato da ideali patriottici di irredentismo. Nell’aprile 1917 entra a far parte del corpo scelto degli Arditi e acquisisce il grado di sottotenente. Con il valoroso e audace corpo degli Arditi, nel 1918 Gallo ottiene una medaglia d’argento e una di bronzo al valor militare per le imprese vittoriose a Col del Rosso, a Col dell’Ecchele e a Gallio nell’Altopiano dei Sette Comuni e conquista anche la promozione al grado di tenente.
A guerra finita prenderà servizio all’ufficio posta di Vicenza, questa volta con la VI armata, e poi a Brunico nell’Alto Adige a presidiare una zona quando era ancora sotto armistizio. Il 6 luglio 1920 ottiene il congedo definitivo. Il giovane seminarista si era particolarmente distinto quale combattente efficace “mirabile esempio di sereno ardire e di nobile sprezzo del pericolo”.
Gallo Moschetta condusse la Grande Guerra, in trincea e nelle retrovie, combattendo con eroismo e con un patriottismo fervente e sincero. Le azioni di assalto, ardimentose e spericolate, portarono ovviamente il giovane ardito ad uccidere soldati nemici. Il ricordo dei morti, negli anni a seguire, genererà nel suo animo un tormentato rimorso che lo accompagnerà per tutta la vita, incontrando nei sogni notturni i commilitoni feriti e i soldati uccisi.
Dopo il congedo, Gallo riprese gli studi al seminario che all’epoca si era trasferito a Torre di Pordenone. In cinque anni frequentò i restanti anni di liceo classico e gli studi di teologia.
Il 12 luglio 1925 nel Santuario della Beata Vergine delle Grazie di Pordenone venne ordinato sacerdote. Fece le sue prime esperienze di cappellano a San Giorgio di Pordenone prima e a Pasiano poi. Il cappellano fu giudicato dalla diocesi quale zelante nel predicare e nella cura delle anime e nell’educazione della gioventù. Don Gallo Moschetta fu sin da subito amante dello studio e dell’associazionismo giovanile.
Nel luglio 1931 supera gli esami di teologia dogmatica e morale indispensabili per diventare parroco. All’inizio del 1932 presenta domanda per svolgere il servizio di parroco. In quell’anno cinque erano le parrocchie libere che richiedevano l’arrivo di un nuovo sacerdote: a Corbolone di Santo Stino di Livenza, a Lorenzaga di Motta di Livenza, a Villotta di Chions, a Tesis e infine a Domanins.
Il 6 marzo dello stesso anno don Gallo Moschetta si presenta a Domanins per l’elezione a nuovo parroco, spettante per diritto canonico per giuspatronato ossia ai capifamiglia del paese. La parrocchia di S. Michele Arcangelo versava in gravi difficoltà a causa di una lunga malattia polmonare che aveva colpito il parroco uscente don Valentino Feit costringendolo a letto. La sua condizione di isolamento impedì le numerose e dovute celebrazioni liturgiche e gli obblighi pastorali. La diocesi cercava per Domanins un giovane sacerdote dal forte rigore morale, zelante verso le pratiche ecclesiastiche e verso l’assistenza agli anziani e ai fanciulli così con le associazioni. Il giovane don Gallo Moschetta sembrava quello giusto. Incontrò i capifamiglia e dopo un colloquio si svolsero le elezioni a scrutinio segreto e fu accettato con 149 voti a favore, 29 contrari e 8 annullati.
Il nuovo parroco entrò ufficialmente a Domanins il 1° maggio 1932, nella vettura con a bordo il conte Gualtiero di Spilimbergo e il conte don Perulli vicario di Pasiano. In suo onore fu organizzato un corteo con la popolazione e con le scolaresche. I fedeli si riversarono sulla strada che conduceva a Pordenone per incontrare il nuovo pievano. Don Gallo venne accolto dal podestà, dal fascio locale, dalla fabbriceria e dalla sezione Combattenti. La cerimonia di investitura fu celebrata da don Umberto Martin vicario foraneo e parroco di Provesano. Al termine ci fu il pranzo con le autorità e la sera un concerto tenuto dalla Banda di Valvasone.
La vita e le opere di don Gallo Moschetta a Domanins
“Povero sono venuto qui e povero voglio andarmene; non ho diritto ad alcun compenso; il premio lo aspetto dal Signore, che ho cercato di servire in fedeltà.”
Sono state queste le parole del commiato di don Gallo Moschetta prima di lasciare Domanins per pensionarsi il 24 settembre 1972.
Don Gallo a Domanins è ricordato per i molti suoi pregi che giustificavano e facevano dimenticare i suoi difetti. La vocazione, le qualità del suo carattere e la predisposizione alla rinuncia e ai sacrifici contribuirono alla creazione di molte opere e iniziative, quotidiane e originali che lasciarono un ricordo indelebile nella comunità di Domanins. Era un sacerdote noto per la frugalità del vivere e dei costumi. La sua stanza nella canonica era piccola e adorna dell’essenziale, le sue vesti semplici e logore, ed era molto parco nel mangiare.
Si alzava la mattina presto per officiare la messa, per confessare e per ricevere la gente nel suo studio, per fare visita ad anziani e malati e per insegnare il fondamentale catechismo ai fanciulli. Alacre ed instancabile nei suoi compiti e nel servizio ai parrocchiani, don Moschetta lo era altrettanto nell’affermazione dei principi religiosi. Osservante scrupoloso del suo magistero e obbediente alle autorità, era intransigente nell’applicazione dei principi e delle regole. Durante la S. Messa non ammetteva brusii, chiacchiere o distrazioni di alcun tipo. Memorabili i ceffoni ai chierichetti quand’erano disattenti e le sue sgridate a coloro che, seduti in fondo alla chiesa, anziché ascoltare la messa parlavano di affari o di altri argomenti estranei alla funzione. Qualcuno si ricorda ancora di quella volta che don Gallo si rifiutò di dare la comunione a quattro donne perché si erano intrattenute troppo nei balli che lui non approvava mai e che proibiva ai parrocchiani.

Quella del “ballo” fu sempre una sua convinzione ferma, un’ostilità che nasceva dalla mentalità dei tempi e che era comune anche agli altri parroci della zona. Il ballo era un atteggiamento scatenante la sensualità nell’animo e portava a commettere atti impuri. Lo vietava sia nelle forme pubbliche che private. E da questo gruppo di individui don Gallo si vide addirittura minacciato e irriso. Una volta ballarono sul sagrato della chiesa e poi sopra il Monumento ai caduti. Fu probabilmente da questa schiatta di persone che pervenne una denuncia anonima direttamente alla Santa Sede nel 1942. Ma alla fine tutto si risolse bene in favore del pievano di Domanins. La questione del ballo accompagnò il sacerdozio di don Gallo fin dal suo esordio a Domanins. Amanti del ballo e di comportamenti licenziosi erano un gruppetto di uomini e donne “omacci bollati” – come li definì lui medesimo – che fecero muro contro di lui. Ma don Moschetta tirava diritto con i suoi ferrei principi e, in certi casi, anche contro una buona parte dei fedeli.
Per ciò che riguardava la sessualità don Gallo non ammetteva tolleranze o deroghe. Le lezioni di catechismo si svolgevano separando rigorosamente i maschi dalle femmine. In tempi più recenti, in seguito alla diffusione della televisione, era solito spegnere l’apparecchio nella sala giochi della canonica quando qualche giovane guardava qualche programma troppo “spinto”.
Nonostante ciò il “pievano di ferro” fu sempre apprezzato dalla stragrande maggioranza dei suoi parrocchiani. In primo luogo per la sua onestà e generosità. Era generoso con i piccoli chierichetti che prestavano il loro aiuto per le messe e che lui ricompensava sempre con qualche soldo. Era generoso con coloro a cui insegnava a leggere e a scrivere perché non chiedeva alcun compenso. Era generoso con i poveri con i quali condivideva il pasto. In secondo luogo, don Gallo veniva ammirato per il suo coraggio e la caparbietà con la quale difese sempre le sue idee e i precetti che la dottrina della chiesa gli impartiva. Inoltre, don Gallo non si limitò solo ad amministrare la liturgia, ad esercitare la formazione catechistica e a fare una beneficenza individuale ma si fece anche promotore di numerose iniziative a carattere sociale, rivolte soprattutto ai giovani, convinto che le idee e i principi andassero veicolati col pensiero e con le azioni della popolazione.
Mediatore nella disputa della rettifica dei confini tra Domanins e Rauscedo e la proprietà della chiesetta di San Giovanni Battista
Nella tappa successiva del viaggio vedremo don Gallo condurre una difficile opera di mediazione tra le comunità di Domanins e Rauscedo per la modifica dei confini tra le due frazioni (avvenuta poi nel 1949) e per l’assegnazione della proprietà e amministrazione della chiesetta di San Giovanni Battista tra la parrocchia di Domanins e la curazia di Rauscedo (1950). Abbiamo visto come, nel 1939, esso si prodigò per sedare gli animi esagitati delle due comunità e si barcamenò con molta difficoltà tra le parti contrapposte per la risoluzione della controversia: il curato di Rauscedo don Giovanni Delle Vedove, i capifamiglia di Domanins, la curia di Concordia, i rauscedesi che abitavano nel territorio della parrocchia di Domanins.
Nella seconda guerra mondiale mediatore fra i tedeschi e i partigiani
Durante il fascismo e la seconda guerra mondiale don Gallo fu un sacerdote rispettoso delle autorità civili e politiche e ossequioso delle loro ordinanze. Durante il conflitto bellico pregò la Madonna che Domanins fosse risparmiata dai bombardamenti e che nessuna fanciulla fosse toccata. A tal proposito fece digiuni e molte rinunce e in segno di riconoscenza lui promise che avrebbe eretto un’icona o un capitello dedicato alla Vergine Madre.
Durante i mesi dell’occupazione tedesca in Italia, dal settembre ’43 fino al maggio ’45, don Gallo trattò con uguale umanità civili e soldati, tedeschi e partigiani. Addirittura era capitato che avesse ospitato ambo gli avversari nella canonica nello stesso momento ma senza il verificarsi di alcun incidente. Si adoperò affinché non ci fossero violenze a donne e fanciulle. Presentò ufficiale reclamo al comando tedesco, in quei mesi stanziato nel palazzo Spilimbergo, perché un loro soldato aveva osato abusare di una ragazza in un fienile.
Quando la guerra stava volgendo al termine, nella primavera del ’45 gli Alleati, americani e britannici, stavano risalendo la Pianura Padana. Il 1° maggio un contingente britannico era entrato ad Arzene e San Martino e aveva liberato i paesi costringendo alla fuga le truppe tedesche. Nello stesso giorno, il contingente alleato entrò anche a Domanins. Tutti i soldati tedeschi si trovavano asserragliati dentro il palazzo Spilimbergo. Il portone era sbarrato. In paese non volava anima viva. Tutti gli abitanti aspettavano che l’esercito degli Alleati entrasse ponendo fine alla guerra provocando il minor danno possibile. Ma, la quiete profonda di quella mattina, unita a tanta paura, fu interrotta dalle squadre dei partigiani che si stavano riversando a decine in paese, pronti ad attaccare il quartier generale degli occupanti. Don Gallo che non voleva spargimento di sangue decise di recarsi dai partigiani e dai tedeschi per patteggiare la fine delle ostilità senza alcuno sparo. Si rivolse prima dai tedeschi e ottenne da loro la rinuncia a usare il fuoco contro i partigiani assicurando loro una fuga pacifica e tranquilla.
Il pievano entrò nel palazzo Spilimbergo sventolando un fazzoletto bianco e chiedendo al comandante di essere ricevuto. Don Gallo ottenne il consenso dall’ufficiale tedesco. Si recò poi dal comandante dei partigiani, imboscati e protetti nelle immediate vicinanze, e li pregò prostrandosi e piangendo di lasciar andare quei giovani soldati. I partigiani accettarono la proposta del sacerdote e così fecero. Il convoglio delle truppe tedesche abbandonò quel giorno Domanins e la guerra terminò senza incidenti.
La Madonna aveva mantenuto la promessa. In omaggio alla sua protezione, la comunità di Domanins volle esaudire il voto e il desiderio di don Gallo con la costruzione del Monumento all’Emigrante e al Viandante, capitello sacro e dedicato alla Vergine Madre e al Bambin Gesù (1986).
Le associazioni
Grande opere e grandi sforzi fece il pievano a favore delle associazioni. Già dal 1933 benedice la bandiera della gioventù maschile e femminile e, nel 1934 costituisce l’associazione degli uomini e delle donne dell’Azione Cattolica. Quale reduce di guerra è sempre presente alle riunioni della sezione dell’Associazione Nazionale Combattenti.
Nel secondo dopoguerra l’associazionismo a Domanins era entrato in crisi. All’inizio degli anni sessanta si forma però in paese un nutrito gruppo di volontari di donatori del sangue che facevano capo all’Associazione Friulana dei Donatori di Sangue con sede a Udine (A.F.D.S.). Il gruppo dei volontari apparteneva prima alla sezione di Spilimbergo che raccoglieva allora i paesi e i comuni confinanti, dalla pedemontana alla pianura dei magredi, e poi alla sezione comunale di San Giorgio della Richinvelda costituitasi nel 1963.
Il gruppo di Domanins era capeggiato da Sante Lenarduzzi, il postino del paese, il quale nel gennaio del 1968, ottenuta l’approvazione dalla sede regionale e circondariale dell’A.F.D.S., costituì a Domanins una sezione A.F.D.S. autonoma. Don Gallo manifestò sin dai suoi esordi simpatia e approvazione nei confronti di questa neonata associazione e verso il dono del sangue. E in omaggio ai donatori, il parroco, fra i tanti gesti offerti in loro favore ne fece due molto importanti.

Il primo è stata la collocazione di un’immagine di un pellicano sulla colonna del tabernacolo nell’altare della parrocchiale. Il “Pellicano” è il simbolo che l’A.F.D.S. ha adottato per rappresentare la propria identità e attività. Il simbolo è l’animale alato si punge il petto con il becco per donare il sangue ai propri figli. L’immagine del Pellicano possiede una secolare storia all’interno del Cristianesimo evocante riferimenti a tradizioni spirituali antiche piuttosto dimenticate per le quali era identificato con il Cristo e con il suo sacrificio per l’umanità.

Il secondo è stato il quadro con la propria fotografia che don Gallo fece dono ai donatori di sangue con una propria dedica. Il quadro è appeso nella sede dei donatori presso la ex Scuola Materna da lui fortemente voluta. La sua dedica e testamento morale scritta di suo pugno in un foglietto che l’associazione tuttora conserva nel proprio archivio sociale.
La scuola materna infantile delle Povere figlie di Maria Santissima Incoronata (oggi l’oratorio S. Michele Arcangelo)

A partire dagli anni quaranta don Gallo pensa che sia utile e buono per i bambini e le bambine avere a Domanins una propria Scuola Materna Infantile idonea alla loro prima educazione e anche un luogo nel quale le femminucce avrebbero potuto imparare il taglio, il cucito e il rammendo. Il nuovo edificio avrebbe onorato la memoria e il sacrificio dei caduti delle due guerre mondiali e, all’interno di esso si sarebbe dovuto erigere un luogo sacro per mantenere il voto alla Madonna per aver risparmiato il paese dai bombardamenti nell’ultimo conflitto.
Al progetto dell’asilo infantile si prodigò con forte desiderio e senza sosta, contribuendo anche con i suoi pochi risparmi e con l’eredità del padre. Nel 1951, don Gallo utilizzò una parte del denaro derivante dal lascito paterno per un’operazione di ernia e un’altra parte per il nuovo edificio. Negli anni cinquanta il progetto cominciò a prendere forma.
L’ingegnere Giovanni Lenarduzzi, originario di Domanins, si era proposto per eseguire il progetto gratuitamente. La famiglia Oberhofer a sua volto donò gratuitamente il terreno di sua proprietà per l’erigendo edificio posto accanto a quello dove sorse nello stesso periodo la Scuola Elementare. Il signor Angelo Gei costituì e presiedette un comitato paesano con il compito di tracciare le linee guida dell’opera. Arrivarono dal governo nazionale contributi e concessioni di cantieri e numerosi compaesani concorsero all’opera con prestazioni di lavoro gratuite o con donazioni.
La scuola materna ebbe luce nel 1962 con inaugurazione il 30 settembre. Era un edificio a due piani. Al piano terra una sala per le lezione, le riunioni e le esibizioni teatrali (sala Ferruccio Oberhofer), una cucina, un refettorio, una stanza adibita a cappella sacra e i servizi igienici. Al piano superiore era stato creato il dormitorio per le suore.
Le suore appartenevano alla Congregazione religiosa delle Povere figlie di Maria Santissima Incoronata.
La Scuola Materna fu intitolata a S. Vincenzo De Paoli e a S. Cecilia V. M.
L’attività della nuova scuola durò fino al 1971. I costi sempre crescenti e la scarsità di bambini non permisero di mantenere continuo e operante l’istituto.
Oggi l’edificio si chiama Oratorio S. Michele Arcangelo ed è luogo di ritrovo per il catechismo e altre attività parrocchiali. Al piano superiore è sede dell’Associazione Friulana dei Donatori di Sangue A.F.D.S. sezione di Domanins tanto cara a don Gallo e da lui sempre sostenuta.


Questa feconda attività sociale non si esaurì solo nel progetto dell’asilo infantile. Alla fine degli anni sessanta si fece promotore della costruzione di una cappella per i sacerdoti defunti nel camposanto e di una nuova canonica che si sarebbe dovuta collocare accanto alla parrocchiale. Inoltre, fu proprio don Gallo a commissionare l’altare dedicato all’Immacolata Concezione con la scultura in legno di Scalambrin di Fossalta di Portogruaro per poi collocarlo nella parrocchiale.
Il congedo
Don Gallo posò per la famosa fotografia incorniciata nella sagrestia qualche tempo prima di dare l’addio a Domanins e partire per la casa di riposo di Spilimbergo.
Mantenne la carica di parroco di Domanins fino all’ottobre 1971 dopo la quale rimase in parrocchia come economo spirituale fino al 24 settembre 1972, giorno nel quale diede l’addio al paese.
Il giorno della partenza fu il 28 settembre con destinazione Spilimbergo. Nella casa di riposo svolse le funzioni di cappellano. Numerosi furono i suoi ex parrocchiani che andarono a trovarlo per portargli qualche dono od offerta. Molti furono i giovani con i quali ebbe sempre un buon rapporto in tutte le comunità in cui svolse il suo servizio religioso.

Nonostante la sua visione dottrinale e pastorale rigidamente tradizionalista e refrattaria ad ogni apertura alla modernità, don Gallo fu sempre apprezzato dai giovani. Il motivo va ricercato nella coerenza con la predicazione e il comportamento personale improntato all’onestà e alla generosità con zelo e rinunce. Don Gallo per loro, a Domanins mise a disposizione i locali della canonica per il loro tempo libero: un televisore, un tavolo di ping-pong e un biliardo. Accettava i loro schiamazzi pur di non abbandonarli a frequentare cattive compagnie. E proprio un giovane e adolescente di allora ha voluto ricostruire e raccontare a Domanins la vita del suo pievano don Gallo Moschetta: Vannes Chiandotto nel suo libro Gallo Moschetta alle trincee al sacerdozio a ricordo perenne di questo uomo straordinario.
Gallo Moschetta curò molto anche i rapporti con gli emigranti di Domanins, fenomeno che, come abbiamo visto coinvolse la quasi totalità della popolazione del paese, così come la gran parte delle famiglie del Friuli e di altre regioni d’Italia.
Don Gallo ritornò a Domanins il 13 maggio 1973 invitato alla Festa del Donatore di sangue al quinto anniversario di fondazione.
Nel mese di settembre si ammalò definitivamente. La morte lo colse domenica 24 marzo 1974. I funerali si svolsero, con grande partecipazione, il giorno 27 marzo a Domanins ove volle essere sepolto e dove ancora la comunità lo ricorda sempre con grande stima e ammirazione e con tanta nostalgia.

Don Gallo concluse la sua vita, da uomo e da sacerdote, affrontando i maggiori drammi e questione del Novecento con spirito di sacrificio e di benevolenza per la propria gente, non trascurando nessuno, gli anziani e gli giovani, gli uomini, le donne e i combattenti, i ricchi come i poveri, i parrocchiani e gli emigranti, il passato e il presente di un paese, una comunità dai tanti volti come i suoi individui e le sue storie.
***
Continuiamo il viaggio approfondendo la disputa dei confini nella quale don Gallo si trovò in mezzo e conosceremo l’antica storia e la struttura di un altro manufatto artistico del territorio: la chiesetta di San Giovanni Battista.