Luchino Luchini e Tarcisio Petracco
La voce dell’umano progresso per San Giorgio della Richinvelda e per il Friuli
Questa sezione del viaggio è dedicata ad altri due personaggi illustri, che accanto ai Pecile, che hanno lasciato il segno a San Giorgio e anche nel resto del Friuli. Essi sono già stati menzionati nelle fasi precedenti: Luchino Luchini (1871-1924) e Tarcisio Petracco (1910-1997). Hanno vissuto epoche diverse e distanti nel tempo; entrambi hanno dato il loro contributo in diversi campi della cultura e del sociale; il primo visse tra la fine dell’Ottocento, la Grande Guerra e gli anni immediatamente successivi della ricostruzione; il secondo visse tra la Grande Guerra, il fascismo, la Seconda Guerra Mondiale e il dopoguerra del decollo industriale. Entrambi sono stati però trascinati da volontà meritoria di sviluppare il patrimonio umano, sociale e culturale del territorio in cui sono nati il quale è debitore della loro opera e per essa sono meritevoli di un cenno speciale.
Un uomo e una vita dedicata al bene sociale: Luchino Luchini
Rimaniamo ancora nel centro del capoluogo, nel coacervo di piazza Beato Bertrando, ci muoviamo da via Aquileia, che è la strada che divide la parrocchiale dall’ufficio postale. Essa comincia da un rialzo del terreno e continua abbassandosi e formare poi una curva a destra in mezzo a due file di case le une attaccate alle altre. La strada che si snoda dall’angolo di questa curva è via Luchino Luchini. Continua per circa un chilometro e termina nella strada provinciale SP1 (Strada Provinciale 1) che collega Spilimbergo con Casarsa.
La curva comincia sul lato sinistro con l’ufficio di uno studio di commercialista. Proseguendo su quel versante ci fermiamo al civico 13. L’abitazione dalla facciata bianca e dalla serranda verde è la casa natale di uno dei sangiorgini più illustri dopo i Pecile: il cavaliere Luchino Luchini.

“Coltivava con entusiasmo ogni iniziativa che tornasse a vantaggio del popolo e specialmente delle classi povere”.
“Amante di ogni studio che nobilitasse lo spirito suo… con la sua inesauribile bontà, la sua inalterabile pazienza coi sofferenti, coi poveri, cogli umili, con tutti quelli che ricorrevano a lui per aiuto e consiglio. Egli scompare dopo aver consacrato al bene ed al lavoro tutta la vita con serenità d’animo, con onestà di intendimenti, con mirabile modestia”.
Questi due incisi esprimono con efficacia e in perfetta sintesi la volontà e i sentimenti che animarono l’opera di questo illustre ed interessante personaggio di San Giorgio della Richinvelda. Il secondo è parte del commiato funebre pronunciato dal cavalier Domenico Pecile.
Chi era Luchino Luchini?
Luchino nacque il 30 aprile 1871 a San Giorgio della Richinvelda, figlio di Antonio Luchini e Teresa Ballico. Frequentò le classi quarta e quinta elementare e in seguito, all’età di quindici anni, si iscrisse alla Regia Scuola Pratica di Agricoltura di Pozzuolo del Friuli – fondata e promossa da Gabriele Luigi Pecile – e conseguì il diploma con massimo profitto nel 1888. L’8 aprile 1904 Luchino sposò Maria Ballico.

A causa della prematura morte del padre (mancato quando Luchino aveva l’età di un anno), il giovane non poté proseguire gli studi per dover attendere alla madre e alle faccende domestiche. Tuttavia, Luchino non mancò di coltivare individualmente studi e ricerche raggiungendo un grado abbastanza elevato di cultura che, unito ad un animo fortemente orientato ad operare per il bene sociale alla stessa stregua dei Pecile, gli consentì di progettare e portare a termine molte iniziative ed istituti. Coevo di Domenico Pecile, entrambi “liberali illuminati”, furono essi attivi e solerti nell’amministrazione e nella crescita progressiva della Cassa Rurale di Prestiti e delle sue istituzioni.
A San Giorgio della Richinvelda Luchini fu direttore per molti anni dell’Ufficio Postale; durante un lungo periodo coprì la carica di assessore comunale e fu anche consigliere provinciale. Fondò la Cassa Rurale di Prestiti e la diresse fino agli ultimi giorni della sua vita; fu il principale fautore ed uno dei fondatori dell’Asilo Infantile e del Forno Rurale, della Casa di Ricovero, della Scuola per Cestari e di Economia domestica. Fu socio fondatore della Società Fornaci di Laterizi dell’Ing. De Rosa di S. Giorgio della Richinvelda.
L’amministratore comunale
In tutte le attività Luchini Luchini fu esemplare nella dedizione assoluta al lavoro, instancabile, scrupoloso nel risolvere i problemi della popolazione. L’impianto della luce elettrica, l’assetto scolastico, l’edilizia scolastica, la costruzione dell’acquedotto, l’irrigazione, lo sviluppo dell’agricoltura e l’assetto degli uffici del municipio.
L’amministratore bancario
Fu fondatore della Cassa Rurale di Prestiti e amministratore fino agli ultimi giorni della sua vita. Nel 1917, nel periodo dell’esodo durante l’occupazione austro-tedesca del nostro territorio, riuscì a trarre in salvo tutti i valori e i registri della Cassa Rurale tanto che al ritorno, alla fine del 1918 poté immediatamente riprendere le proprie regolari funzioni.

Il Patronato Scolastico
Il Patronato Scolastico di S. Giorgio della Richinvelda venne fondato nel 1898 prima che la legge Credaro del 1911 rendesse obbligatoria l’istituzione e venne fondato da Luchino Luchini che ebbe sempre una particolare affezione e predilezione per esso, rendendosi pienamente conto della necessità di tale istituzione per dare impulso vigoroso alla pubblica istruzione. Ne fu il presidente a vita e si dedicò attivamente affinché il Patronato esplicasse tutta l’attività possibile.
Istituì nel 1911 la Scuola di Disegno applicato alle arti e mestieri, dotandola di materiale didattico e vigilando attivamente sul suo regolare andamento. Prese parte all’istituzione della Scuola di Economia Domestica, attuando l’idea di Domenico Pecile e tale istituto fu uno dei primi del Friuli. Sempre allo scopo di diffondere l’istruzione, di educare la sua intenzione fu di fondare una biblioteca per gli alunni delle scuole, per gli operai e contadini.
Anche la Scuola Cestari, istituitasi per iniziativa di Domenico Pecile a S. Giorgio nel 1905 fu oggetto della particolare attenzione del cav. Luchino Luchini, che vedeva in essa un mezzo per sottrarre i giovani contadini al vizio, all’ozio e per creare loro la possibilità di dedicarsi a lavoro proficuo nelle sere invernali.
L’Asilo infantile
Fin dal 1915 il Luchini comprese la necessità di alleviare le famiglie dei militari richiamati alle armi, onde potessero dedicarsi meglio ai lavori dei campi e pensò di raccogliere i bambini dai tre ai sei anni in un ricreatorio. Seppe appassionare il paese a questa idea e l’attuò con l’appoggio dell’insegnante Luigia D’Andrea, dotando il ricreatorio dei mezzi didattici più necessari. Provvide al funzionamento facendolo sussidiare dal Comune e coi contributi delle famiglie: cosi funziono. Nel 1919 il ricreatorio venne chiamato Asilo.

La Cooperativa di consumo
Nell’immediato dopoguerra, e precisamente nella primavera del 1919, il giorno 25 maggio, il cav. Luchino Luchini sentì per primo la necessità di una cooperativa di consumo in S. Giorgio per il Capoluogo e le frazioni allo scopo di far fronte al continuo aumento dei prezzi dei generi alimentari di prima necessità. Attraverso una serie di conferenze con i capifamiglia, nelle quali spiegò i fini prefissati di una cooperativa gettò le basi dell’istituzione, a farla costituire legalmente e a farla funzionare con inizio nel luglio 1919. A metà degli anni venti la Cooperativa totalizzò 264 soci e raggiunse un capitale di lire 14500. Presidente dell’Ente Autonomo dei Consumi di Spilimbergo, Luchino Luchini devolvette tutti gli onorari e compensi che gli spettavano per la carica, a beneficio delle sue istituzioni da lui fortemente volute per l’istruzione e l’assistenza ai bisognosi. La società venne sciolta il 22 maggio 1927.
Casa di ricovero per gli anziani abbandonati
Fu fondata nel 1903 per volontà ed iniziativa di Luchino e di Domenico Pecile. Il cavalier Luchini ebbe costante cura della istituzione e nei primi tempi diede impulso ad una cucina economica annessa.
Ispettore dei Monumenti
Il 20 ottobre 1922 Luchino Luchini veniva nominato Ispettore onorario dei Monumenti dello Spilimberghese, e il conferimento di tale carica onorifica costituiva un giusto apprezzamento del culto e dell’amore che il magnanimo e volenteroso ha sempre avuto per la storia dei nostri paesi, specialmente per quanto riguarda l’arte, e della notevole competenza che ha sempre dimostrato in questa arte.
Istruttore ed educatore durante l’esodo di Caporetto
L’opera profondamente meritoria di Luchino Luchini ebbe modo di rivelarsi anche durante l’esodo di una parte della popolazione del 1917-18 in conseguenza dell’occupazione dell’esercito austro-tedesco del territorio del Friuli-Venezia Giulia e di parte del Veneto fino al fiume Piave. Fu quel fenomeno che veniva chiamato “profuganza” nel quale il Luchini assunse come “doverosa missione” il compito rieducare moralmente e professionalmente i mutilati di guerra, compito doloroso e difficile. Il dottor Giuseppe D’Ancona da Firenze dichiarò che il cavalier Luchino Luchini ha saputo suscitare nei mutilati cui si era dedicato durante il non breve periodo in cui fu profugo prestò opera presso l’Ospedale di riserva n. 2 “Concentramento Villa Bondi” in S. Domenico di Fiesole, nella collina a nord della città. Ivi erano raccolti più di un centinaio di mutilati, in via di guarigione chirurgica, per un primo avviamento alla rieducazione professionale.
“Al cav. Luchini venne affidata una classe che era sempre di una ventina di contadini, alternantisi a turno, onde riavviarli, nelle mutate condizioni fisiche, al loro primitivo mestiere, e adattarli all’uso di apparecchi lavorativi speciali… il bravo cav. Luchini pensò di completare, impartendo ai suoi allievi nozioni agricole moderne, nuovi sistemi di innesti che dessero al loro avvenire una superiorità di metodo ponendoli quindi in grado di supplire alla menomata capacità fisica colle nuove e migliori conoscenze professionali”.
I mutilati frequentarono con assiduità i corsi di questo straordinario maestro che fu il Luchini. Essi, i mutilati di guerra, vinsero e superarono la sfiducia sulla possibilità di tornare a dedicarsi a proficuo lavoro e in particolare lo scoraggiamento dei soldati contadini, che erano numerosi, soprattutto di quelli amputati di un arto superiore.
Luchino Luchini e il suo contributo all’agricoltura
Il cavalier Luchini si occupò anche dell’agricoltura. Fu il propugnatore del Consorzio Provinciale di Frutticoltura e il Comizio Agrario di Spilimbergo, che lui presiedette, fu il primo ente agrario di carattere locale che votò il proprio contributo al Consorzio. E dopo lunghe pratiche, il Consorzio fu istituito con apposito decreto reale, assicurando alla frutticoltura friulana, in cinque anni, mezzi speciali per un notevole capitale.
Il Luchini organizzò mostre di frutticoltura tenutesi a Spilimbergo nel 1920, Maniago nel 1922 e la mostra di ortaggi e fiori a Spilimbergo sempre nel 1922. Un altro ramo dell’attività agricola cui accudiva era l’allevamento degli animali da cortile. Fu da lui promossa la mostra di animali da cortile tenutasi postuma a Spilimbergo nel 1924: da lui costituito l’Apiario modello presso il Comizio Agrario. La branca dell’agricoltura che preferiva di più e della quale fu il più preparato era il miglioramento zootecnico con le mostre bovine sistematiche e in particolare quella tenutasi a San Giorgio della Richinvelda nell’ottobre 1923, prima manifestazione zootecnica del primo dopoguerra.
Ma non solo, Luchini presiedette il comitato acquisti della Cassa Rurale di Prestiti, il Comizio Agrario di Spilimbergo, della locale Sezione di Cattedra per i distretti di Spilimbergo e Maniago, vicepresidente fino al 1922 dell’Essiccatoio Cooperativo Bozzoli, varie cariche nei consessi agrari provinciali, in cui egli portava sempre la sua collaborazione attiva ed era voce autorevole, cooperatore alla fondazione della Federazione Agricola del Friuli. Dobbiamo ricordare, in seno alla Commissione di Vigilanza della Cattedra, le sue raccomandazioni in favore dell’apicoltura, dell’insegnamento agrario nelle scuole elementari, e i suoi voti per il sorgere di un campo centrale di studi per la sperimentazione agraria di cui la Cattedra e la Stazione Chimico-Agraria Sperimentale avrebbero tanto bisogno; dare sviluppo all’Istituto di Economia montana. Voleva risolvere il problema dell’irrigazione e volle promuovere un progetto per far derivare dal Meduna dei canali per far giungere l’acqua ai comuni di San Giorgio, Spilimbergo e Arba.
Luchino Luchini morì a San Giorgio della Richinvelda il 17 marzo 1924. Il commiato funebre fu pronunciato da Domenico Pecile e da Enrico Marchettano direttore della Cattedra Ambulante Provinciale di Agricoltura.
Il Comizio Agrario di Spilimbergo e la Scuola Mosaicisti del Friuli pure, in Spilimbergo vollero eternato il cav. Luchini nella propria storia, col nominarlo ad memoriam, Presidente onorario.
Il comune di San Giorgio della Richinvelda gli ha dedicato la via dove lui è nato e gli ha intitolato la Scuola dell’Infanzia del capoluogo come abbiamo già avuto modo di vedere.
Un intellettuale versatile per il Friuli: Tarcisio Petracco
Tarcisio Petracco fu un intellettuale friulano, insegnante di lettere, divenuto noto al pubblico colto e a quello popolare come il padre dell’Università di Udine. L’arcivescovo di Udine Alfredo Battisti, il quale resse la diocesi negli anni dal 1973 al 2000, usò queste parole per descrivere quest’uomo di cultura e di forte temperamento:
“Basterebbero 10 o 20 friulani come Tarcisio Petracco per scuotere il Friuli e sollevarlo da una certa apatia e indifferenza che gli fa perdere la memoria del suo glorioso passato”.
Monsignor Battisti si batté, per tutto il lungo periodo del suo episcopato, per l’uso liturgico della lingua friulana.

Tarcisio Petracco non dedicò la sua vita solo alla cultura ma fu anche un militare, un combattente partigiano, un operaio emigrato, un atleta. Riporto qui una sua citazione ancora più emblematica della precedente nel sintetizzare la vita di quest’uomo così importante per il nostro territorio:
“Mi fu utile l’aver sostenuto altre battaglie certamente formative: interrotti gli studi da fanciullo per la povertà, averli ripresi da autodidatta nella marina militare, rieducando la volontà e continuandoli fra cento traversie fino alla laurea; avere fatto quel salto nel buio dell’avventura di vita o di morte, ch’era il rischio del partigiano; avere abbandonato l’insegnamento liceale, che male rimunerava, per gli spazi aperti in Canadà alla dura iniziativa pionieristica dell’emigrante operaio”.
Tarcisio nacque a San Giorgio della Richinvelda il 29 marzo 1910, figlio di Giuseppe Petracco ed Elisa Orlando, secondo di sei fratelli di una famiglia contadina di piccoli agricoltori. La sua famiglia, imparentata con don Angelo Petracco, abitava in una casa accanto all’edificio della canonica. All’età di sette anni, il piccolo Tarcisio sperimentò il dramma dell’esodo in seguito all’occupazione straniera dopo la rotta di Caporetto. Emigrò con la famiglia prima a Firenze e poi a Massa Carrara. Ritornò a San Giorgio nel 1920 e dovette subire la perdita della madre. Analogamente per quanto successe a Luchino Luchini, anche Petracco fu costretto a non proseguire negli studi per meglio attendere alle faccende domestiche. Trovò un primo impiego all’Istituto Bertoni di Udine, nelle assicurazioni e poi frequenta a La Spezia un corso di marconista ottenendone il diploma nel 1928.

Nel 1931, Tarcisio Petracco entra nella Marina Militare Italiana e vi rimane fino al settembre del 1943. Contemporaneamente al suo impiego nelle forze armate navali regie, il giovane non abbandona l’idea dello studio per abbracciare una formazione esclusivamente da autodidatta. Perciò, terminato il periodo di leva si iscrisse all’istituto magistrale e nel ’33 ottenne la licenza per l’insegnamento. Insegnò alle scuole elementari di Rauscedo per due anni fino al ’35 quando fu richiamato sotto le armi per la campagna d’Africa. In quell’anno ottenne il diploma della maturità classica. Nuovamente sotto le armi, il Petracco si iscrisse poi nel ’36 alla facoltà di Lettere di Padova. Nel frattempo ottenne una cattedra ad un istituto magistrale di Parenzo nel ’37. Il 17 giugno 1940 conseguì la laurea con una tesi sul torrente Meduna. Ancora sotto le armi, Tarcisio ottenne una breve licenza di 24 ore. Nel 1942, in piena guerra mondiale, il marinaio volle iscriversi anche alla facoltà di Ingegneria per acquisire quel sapere che gli potesse permettere di dare vita a suoi progetti e brevetti. Ma la sua vita per ora gli riservò altri impegni e altre avversità.
Ritornando a solcare i mari, Tarcisio Petracco combatté in lungo e in largo per il Mediterraneo le navi inglesi fino all’armistizio dell’8 settembre ’43. In mezzo al caos che seguì dopo l’annuncio della resa incondizionata, il Petracco fuggì e tornò in Friuli da quel momento in avanti muovendosi clandestinamente, avendo rifiutato la chiamata alle armi da parte del Ministero della Marina della neocostituita Repubblica Sociale Italiana. Durante il biennio dell’occupazione tedesca ottiene l’insegnamento per le cattedre del Liceo Classico “J. Stellini” di Udine e il Liceo Scientifico “P. Diacono” di Cividale. Nel frattempo, viene cooptato da un tale Corrado Gallino per combattere nelle file della Resistenza. Tarcisio Petracco entra a far parte del battaglione “Spilimbergo” della brigata “Osoppo”. Una parte della formazione partigiana “bianca” è stata trucidata nelle malghe di Porzûs dai partigiani “rossi” della Divisione “Natisone” appartenenti alle Brigate Garibaldi e legati alle forze jugoslave del Maresciallo Tito. In seguito all’”eccidio di Porzûs” avvenuto il 7 febbraio 1945 molti partigiani bianchi, tra cui il Petracco, furono chiamati a sostituire i compagni uccisi e ad essere inquadrati nella brigata “Osoppo-Friuli” la quale vedrà i suoi uomini impegnati a difendere i confini orientali dell’Italia sia contro i tedeschi sia contro i titini.
A guerra finita, Tarcisio Petracco tornò per un breve periodo a fare il professare ottenendo la direzione della “Scuola mutilati” di Udine e a Cividale, poi di nuovo al Liceo Classico “J. Stellini” dal 1947 al 1949.
La nuova stagione dell’insegnamento durò poco. Tarcisio prese in sposa Nadia Zampol d’Ortìa da cui ebbe tre figli: Annalisa, Marinella, Giuseppe. In questo periodo il Petracco emigrò assieme alla famiglia, prima in Cadore e poi in Canada. Decise perciò di abbandonare la cattedra dello Stellini e trasferirsi oltreoceano per fare i più svariati mestieri: il manovale, il decoratore, il pittore. In Canada creò lui medesimo una serie di corsi formativi per emigranti italiani nei quali insegnava loro la lingua inglese. Nel 1955 fa ritorno in Italia e inizia la quarta fase dell’insegnamento riprendendosi la cattedra dello Stellini e anche delle Scuole Medie “A. Manzoni” di Udine. Sono anni per lui di intensa attività umanistica, comincia infatti la stesura di una grammatica greca rimasta però inedita.
Il Comitato per l’Università friulana
Tarcisio Petracco esercitava ancora l’insegnamento quando giungeva la primavera del 1971, periodo in cui gli studenti della Facoltà di Lingue di Udine riunitisi in assemblea votavano una mozione di protesta contro la malversazione dell’istituto udinese, allora succursale dalla Facoltà di Trieste. La rimostranza degli studenti friulani faceva eco con le manifestazioni degli universitari udinesi di sei anni prima. Ripercorriamo quindi in breve gli antefatti per comprendere meglio.

Nel ’65 una grande folla di studenti riversatisi nelle strade di Udine, protestò contro la legge regionale che avrebbe assegnato a Trieste la Facoltà di Medicina e che fu poi ratificata nel dicembre di quell’anno con un decreto del Presidente della Repubblica. Gli istituti sanitari udinesi richiedevano da tempo la costituzione di Medicina nel loro capoluogo, compreso l’Ordine dei medici della provincia, in considerazione del prestigio che godeva l’Ospedale di Udine, già all’epoca uno dei primi in Italia sotto tutti i profili. Per accontentare gli studenti friulani e sedare così le proteste della piazza, i dirigenti regionali crearono nel ’68 a Udine una sede staccata della Facoltà di Lingue di Trieste, anche sospinti dalle vicine elezioni regionali.
La succursale udinese non funzionò mai adeguatamente. Trieste non fece niente per dotarla di quegli strumenti affinché acquisisse una vera e propria autonomia. Fu in questo momento che il Petracco entrò in scena. Il professore sangiorgino decise dapprima di intervenire presso i politici locali per soddisfare le esigenze di autonomia degli studenti friulani e impedire che essi si rivolgessero a Trieste o fuori regione per intraprendere un corso di laurea. Non ottenendo i risultati voluti, il Petracco fondò dapprima, nel 1972, il Comitato per l’Università friulana e poi, nel 1975 raccolse le firme per una proposta di legge per l’istituzione di un’Università autonoma a Udine. La legge fu infine formulata e approvata dal Parlamento con la firma del Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, il 6 marzo 1978. Da quel giorno nacque l’Università friulana e il professor Tarcisio Petracco ne fu il padre fondatore. Fu promotore dell’istituzione a Udine delle Facoltà scientifiche, ed in particolare della Facoltà di Medicina, avvenuta alla fine nell’anno accademico 1986-1987. I suoi studi giovanili si concentrarono infatti anche nella meccanica. Nel 1985 depositò come brevetti due apparecchiature da lui progettate e costruite: una per il tracciamento delle ellissi e un’altra per le parabole.

A Tarcisio Petracco furono dedicati un padiglione ospedaliero-universitario a Udine; una delle vie del centro di Udine difronte a Palazzo Antonini; il centro scolastico a San Giorgio della Richinvelda, suo paese natale; un’iscrizione nel famedio dei benemeriti nel cimitero monumentale di San Vito in Udine. Due furono i libri da lui scritti: Lotta partigiana al confine orientale. La bicicletta della libertà e La lotta per l’università friulana. Università e istruzione in Friuli, di cui quest’ultimo uscito postumo. Tarcisio Petracco morì a Udine il 5 gennaio 1997.

Rimaniamo nel capoluogo per vedere nel viaggio seguente la costruzione dell’altra strada provinciale che taglia il territorio da nord a sud e della linea ferroviaria.