Il tempietto conteso tra Domanins e Rauscedo

L’oratorio campestre della illustre famiglia D’Agostini
Ora lasciamo la via Belvedere e imbocchiamo a sinistra via della Pace, la via che conduce a Rauscedo nella sua piazza centrale.
La strada è lunga poco meno di cinquecento metri: alla sinistra comincia con l’Ufficio delle Poste di Domanins e Rauscedo, attraversa poi un piccolo corso d’acqua (l’acqua della Roggia di Domanins) con un ponticello che fa una leggera curva congiungendola con via Belvedere mentre più oltre, sul lato sinistro si dipartono due strade laterali che finiscono nei campi di cui la prima è via Albino Luciani (papa Giovanni Paolo I). Sul lato destro le case terminano con una grande area verde sede dell’Azienda Agricola Silvano D’Andrea. Al termine di via della Pace, la strada fa una leggera curva a sinistra e muta in via S. Giovanni terminando nel territorio della frazione Rauscedo. Da via S. Giovanni giriamo verso destra dove il tracciato stradale fa una curva secca. La strada è via Pineta a Domanins che si congiunge con via Belvedere chiudendo un triangolo con la Strada Provinciale e con via della Pace.

Questa via prende il nome dal boschetto retrostante l’azienda Silvano D’Andrea e che alle origini apparteneva al vecchio mulino di Domanins, il quale si trovava in quell’ampia area verde e si alimentava con l’acqua della roggia di cui prima abbiamo visto. L’antica Roggia di Domanins forniva acqua al paese e alla frazione di Rauscedo. In epoca relativamente più recente, il vecchio edificio ospitò un ambulatorio medico e nei decenni precedenti, fin poco dopo l’ultima guerra mondiale, in quei prati i giovani di Rauscedo erano soliti giocare a calcio e ivi avevano stabilito il proprio campo sportivo.
Lasciamo da parte per ora queste vicende storiche che rimandano all’epoca del campanilismo tra i due paesi e sul cui tema ritorneremo dopo. Proseguiamo invece per via S. Giovanni a Rauscedo fino a incontrare una chiesetta sul bordo sinistro della strada, a cento metri dall’ingresso della piazza del paese.

Una traversa parte da sinistra fino a formare un largo: il “largo Elia Crovato”, intitolato all’imprenditore di Rauscedo che fu Cavaliere di Vittorio Veneto, commissario prefettizio del Comune di San Giorgio della Richinvelda (1931-1941) e poi podestà (1942-1945), fondatore nel dopoguerra della rinomata e prestigiosa Cantina Sociale di Rauscedo di cui fu anche presidente (1951-1969) e anche presidente della Cooperativa di consumo (1949-1951). Il cavaliere Elia Crovato di Rauscedo abitava in una sontuosa villa cinquecentesca, la villa della famiglia D’Agostini sita nella piazza delle Cooperative che, nel cui giardino retrostante fu eretto una chiesetta quale oratorio e tomba di famiglia. Essa fu dedicata a San Giovanni il Battista, un capitello campestre che ebbe una storia del tutto speciale e che ora vedremo.
La costruzione della Chiesetta di San Giovanni Battista risale al XVII secolo. Il tempietto – chiesa ed oratorio – oggi si trova sulla via S. Giovanni che da Domanins porta alla piazza delle Cooperative di Rauscedo.
Collocata sul lato sinistro della strada, la chiesetta si presenta al viaggiatore come un’unica aula rettangolare con un portico sulla propria facciata.
L’edificio risale al 1677 ed è pressoché rimasto intatto nel tempo. Una breve descrizione dello stesso è fornita dall’architetto Luigi Luchini di Domanins in due articoli del 1982 che lo storico del luogo fece pubblicare su “Il Popolo”, il periodico settimanale della diocesi di Concordia-Pordenone. La porta rettangolare è affiancata da due finestre quadrate. Il triangolo della facciata termina con un piccolo occhio e la cuspide è coronata da una monofora campanaria. La muratura dell’edificio è in sassi ed è intonacata. La copertura è composta da coppi e il tetto del portico è formato da tre spioventi, sostenuto da muri laterali e da tre volte in stile neogotico poggianti su quattro colonne. Ai suoi lati si dipartono due pareti murarie, particolare questo che ci fa capire che il tempietto nei tempi passati faceva parte del cortile di un’abitazione privata.
Al suo interno, la balaustra e la mensa dell’altare sono costruite in pietra e sono opera del lapicida Giobatta Antonelli di Dardago, mentre la parte superiore dell’altare è in legno costruita da Osvaldo Zotti di Provesano. Sul basamento sinistro dell’altare si rileva infatti la scritta “Io Gio.ta An.li fecit” mentre, sul lato destro troviamo scritto “P.PIo EIo. Ph. 1677”.
Gli Antonelli di Dardago furono una famiglia di lapicidi che operarono in tutto l’arco del XVII e del XVIII secolo. Di Osvaldo Zotti da Provesano si conservano tuttora gli altar lignei di S. Antonio e di S. Osvaldo nella vecchia chiesa pievanale di S. Pietro di Dignano.
L’altare è in legno lavorato in stile barocco. La pala rappresenta il battesimo di N. S. Gesù Cristo. Sulla tomba dell’abside si trova la seguente scritta:
Pie Deus qui
Ioanem Mariam
Confessorem
esse voluisti
hic in terris
fac eumsvpliciter sanc
tor tuor perpo
esse consortem in cieli
addi 20 – febo
1760
La chiesetta di San Giovanni fu fatta costruire dalla famiglia D’Agostini nelle pertinenze della propria abitazione.
I D’Agostini furono una delle famiglie più colte e ricche di Domanins. Proprietari di vasti possedimenti in Selva, da essa uscirono sacerdoti, notai, cancellieri e ingegneri costruttori. La chiesetta avrebbe dato maggior lustro e casato e creato un luogo di preghiera quale oratorio campestre e tomba di famiglia. In essa furono seppellite undici salme.
I D’Agostini abitarono nell’attuale Villa Crovato a Rauscedo. Apprendiamo dagli atti patrimoniali che, nel Seicento la famiglia del pre. Giovanni Maria D’Agostini fu proprietario della villa detta Palazzo Agostini e della villa attigua, ereditata dalla famiglia nel secolo precedente. Sul portone si può ancora leggere la scritta: “1699 DI 12 MAGIO G.M. AGGUSTINI”.
Il capostipite di questa illustre famiglia di Domanins fu Leonardo di Agostino (n. 1578, m. 1674). Sposatosi con Caterina generò cinque figli: Ottaviano, Giobatta, Agostino, Giovanni e Olivo. Quella dei D’Agostinis, come già detto sopra, fu una famiglia di sacerdoti. Infatti, Ottaviano (n. 1610, m. 1670) sposò Lucia e tre dei loro figli diventarono sacerdoti: Leonardo (n. 1635? m. 1716, curato a Prodolone), Nicolò (n. 1636, m. 1715, parroco a Casarsa) e Giovanni Maria (Dardago dal 1675 al 1711). Altri sacerdoti di questa famiglia furono: don Ottaviano (n. 1672, m. 1709), don Nicolò (pres. 1724), don Orazio (pres. 1725-1748), don Agostino fu Mattia (n. 1736, m. 1814) ultimo sacerdote della famiglia. Don Giovanni Maria e don Ottaviano furono sepolti all’interno della chiesetta.
All’epoca della costruzione del tempietto, a Domanins ci furono tre confraternite: la scuola del S. Rosario, la confraternita del S.S. Sacramento la quale apparve per la prima volta nel 1622, e la confraternita di S. Valentino la cui origine fu certamente anteriore, risalente con molta probabilità al quindicesimo secolo.
L’antichissima confraternita di S. Valentino, già esistente nel 1584 (visitazione del vescovo Nores e data più antica alla quale risalgono i primi libri parrocchiali), fino agli Settanta del Novecento annoverò un forte numero di devoti (come risulta dai registri della scuola) e nel 1890 aveva 716 iscrizioni.
Fin dal secolo sedicesimo si notava una fortissima venerazione per questo Santo a tal punto che si trovavano persone iscritte a detta confraternita in tutto il circondario: Maniago, Lestans, Castelnovo, Gaio-Baseglia, Spilimbergo, Vivaro, Aurava, S. Giorgio, Provesano, Valvasone, S. Martino, Arzene, Casarsa, Castions, Zoppola, Pordenone ecc. …
Tutti i confratelli colpiti da epilessia o da malattie nervose avevano diritto a ricevere assistenza fisica e morale durante le festività del 14 febbraio. Il fedele che s’iscriveva alla confraternita riceveva un pane benedetto e una candela. Questa tradizione si conserva tuttora. Il capostipite Leonardo D’Agostini fu colui che nel 1670 istituì la Mansioneria di San Valentino, mantenne per i membri della propria famiglia il giuspatronato e lasciò in eredità i suoi beni per il mantenimento di un cappellano mansionario affinché officiasse due messe settimanali per il Santo e per altri patti.
Il giuspatronato della Mansioneria fu riservato, sempre per disposizione testamentaria, alla famiglia D’Agostini. Soltanto dopo la morte del cappellano don Agostino D’Agostini avvenuta nel 1814 – ultimo sacerdote di questa famiglia – la nomina del Mansionario passò al vescovo di Concordia. In seguito, l’istituzione fu trasformata dall’Ordinario in una cappellania coadiutrice della parrocchia. L’ultimo cappellano fu Don Giovanni Zannier (1883 – 1898) professore di diritto canonico e di storia della Chiesa presso il Seminario e poi in quiescenza a Domanins.
Il tempietto fu costruito in una zona “franca” tra Domanins e Rauscedo e i D’Agostini, dal canto loro, vollero sempre appartenere alla parrocchia di San Michele Arcangelo all’epoca retta da Pre. Argentino Zecchini. La famiglia D’Agostini stabilì la loro villa nella punta più a nord di Domanins e ovest di Rauscedo, a due chilometri dal centro del paese con l’oratorio dedicato a San Giovanni costruito nel proprio giardino con la facciata rivolta verso Domanins.
Distanti dal Belvedere – la lunga arteria che traccia e divide l’abitato di Domanins – la residenza dei D’Agostini si trova collocata nel mezzo della verde campagna, rivolta a settentrione e perciò in mezzo alle vie di traffico verso Maniago, San Giorgio e la direttrice Spilimbergo-Pordenone. Alla loro sinistra, poco distanti, le case di Rauscedo che, con il passare dei decenni e di qualche secolo, si avvicinarono sempre di più fino ad abbracciare e a circondare il sacello dedicato al Battista.
Domanins aveva mappa per quelle terre attorno alla chiesetta? Il confine passava a metà oppure esse erano di pertinenza della frazione di Rauscedo? O tutta l’area non era mappata, una “terra di nessuno”? I parroci e i D’Agostinis affermavano il primo caso. I curaziani di Rauscedo nei secoli successivi avrebbero dato una risposta differente. L’illustre famiglia D’Agostini volle sempre stare sotto la giurisdizione ecclesiastica di Domanins e per l’uso dei S.S. Sacramenti rimase sempre fedele alla chiesa di S. Michele Arcangelo. Risultò che pure l’autorizzazione vescovile per la costruzione del tempietto dedicato a San Giovanni Battista fu data a condizione che l’edificio fosse soggetto alla cura e alla giurisdizione del parroco di Domanins.
Negli anni a seguire si era appreso dal Liber Mortuorum del 1732 che don Claudio Zecchini considerava sua la chiesetta del Battista: “… la chiesa di S. Zuanne che è mia e che divide Domanins da Rauscedo…”. Ma a chi appartenevano in realtà quei prati e campi rigogliosi, quei viali di olmi e grandi platani a nord del vecchio mulino, quando nel Seicento Giovanni Maria D’Agostinis fece costruire la propria villa accanto all’abitazione dei suoi avi (la quale a sua volta risaliva al secolo precedente), lo si sarebbe stabilito soltanto quasi trecento anni più tardi.
La diatriba dei confini tra Rauscedo e Domanins
Tra i due paesi, Domanins e Rauscedo, ci fu sempre rivalità. Il campanilismo si esprimeva in un forte antagonismo in fatti e comportamenti ma bonario e ingenuo nella sostanza. La rivalità tra le due popolazioni non si tradusse mai in una piena avversione. La rivalità, come recita la dizione latina, indica proprio il contrasto tra due gruppi posti sulle due diverse “rive” di un fiume o di un corso d’acqua che fa da confine. Due paesi rivali non sono nemici perché l’uno è il “nemico ideologico” dell’altro ma perché separati solo da un confine naturale. Nella sostanza essi rimangono uguali: uno è di qua e l’altro è di là.
Il forte senso d’identità, l’orgoglio di campanile e per il proprio ceppo furono elementi comuni e caratterizzanti di ogni paese del Friuli, così come lo fu tra le città, e tra la città e la campagna. Questi elementi hanno un’origine antica. Il campanilismo nelle campagne nacque dallo spontaneo senso di protezione dei beni e delle famiglie delle popolazioni friulane durante le ondate barbariche prima (rimase impressa nella memoria collettiva la calati degli Unni di Attila nel 452) e l’invasione dei Turchi poi (nella Destra Tagliamento dal 1477 al 1499).
Fino alla fine del Novecento, il paese di appartenenza costituiva l’orizzonte entro il quale si svolgeva tutta la vita degli uomini. Un orizzonte etico o religioso entro il quale ogni azione era giudicata buona o cattiva secondo le leggi del gruppo e in rapporto al bene della comunità. La famiglia, la religione, il costume e le tradizioni erano i capisaldi della conoscenza e del vissuto e si dovevano rispettare per realizzarsi in modo compiuto come persona, adulta e normale che viveva in una comunità. Poco importava se si arrecava danno o ingiustizia ai paesi altrui, almeno se gli atteggiamenti rivali non erano in contrasto con i principi elementari di umanità o della Cristianità o per un mutuo beneficio.
Tra Rauscedo e Domanins vi fu sempre anche una differenza di mentalità e quindi anche un nutrito spirito di campanile che li portò a competizioni e a confronti continui. Non mancarono screzi quotidiani anche pesanti fra le giovani generazioni ma la gioventù di Rauscedo fu sempre allegra e dispettosa. Alcuni giovani di Rauscedo furono denunciati per la loro vivacità e spregiudicatezza. Nel 1829, infatti, leggendo una nota conservata negli archivi della curazia, un gruppo di ragazzi entrava di notte nei giardini di varie case del paese, calpestando gli orti, prendendo i vasi di piante e fiori per gettarli nella strada. Nella medesima serata, giovani di Rauscedo presero la pianta di cannella del pievano don Moretti e la gettarono sulla strada cantando a squarciagola canzoni volgari. Questo genere di scherzi, giovanili e innocenti, furono diffusi e praticati dai ragazzi di Rauscedo almeno fino agli anni Ottanta del Novecento.
La memoria popolare a Domanins si ricordò poi che all’epoca della costruzione del suo campanile (dal 1872 al 1894) un gruppo di giovani rauscedani si recò alla piazza di Domanins per portare sul prato ove sarebbe stata innalzata la torre campanaria un carro di letame raccolto apposta per permettere di costruire le fondamenta. Negli anni successivi, oramai completato il campanile, i paesani di Domanins ironizzeranno mostrando a quelli di Rauscedo la loro nuova torre di 41 metri, molto più alta della loro “nappa”. Sei anni dopo, nel 1900, furono finalmente acquistate le campane. Il fonditore Pietro Colbacchini di S. Giovanni di Bassano acquistò le campane della parrocchia di Vigonovo con i soldi delle offerte della popolazione di Domanins e con la consegna dei vecchi bronzi. Il telaio fu poi costruito da Giovanni Tapporello di Mason Vincentino. Le campane di Domanins suonarono per la prima volta il 14 gennaio 1900. In tale occasione, i bambini di Rauscedo, che all’epoca frequentarono le scuole elementari assieme ai quelli di Domanins nel palazzo Spilimbergo, presero in giro i loro coetanei intonando la canzonetta: “Din don dan ciampanis di seconda man”(trad.: Din don dan campane di seconda mano).
Tuttavia, nonostante le rivalità e gli screzi reciproci, le due comunità trovarono sempre modo per andare d’accordo, in particolar modo quando dovettero affrontare problemi e comuni necessità.
Le scuole elementari e l’ufficio postale furono sempre gestiti in comune. Inoltre, basterebbe anche solo consultare gli archivi parrocchiali per accorgersi che anche i matrimoni tra i due paesi furono frequenti. Le due comunità di Rauscedo e Domanins convissero per vari secoli con la minaccia costante delle esondazioni del torrente Meduna le cui acque, affiorando dal sottosuolo nei periodi di pioggia intensa, tracimarono spesso dagli argini inondando le abitazioni e le stalle con grave danno per la popolazione. Uno dei tanti casi di collaborazione fattiva tra i due paesi fu all’uopo la creazione di un consorzio per il contenimento delle acque del Meduna. Tale fu il “Consorzio Rauscedo Domanins” che sorse nel 1826 e durò fino al 1866, l’anno dell’annessione del Friuli al Regno d’Italia di Vittorio Emanuele II, come già abbiamo visto in precedenza. I primi presidenti furono: il nobile Giulio di Spilimbergo, Pietro Bortolo Moretti di Rauscedo, Agostino di Bedin di Domanins.
Con l’unità d’Italia, le popolazioni dei due paesi si amalgamarono fin dalle scuole. I bambini di Rauscedo e Domanins frequentarono le medesime scuole elementari, la I e la II nel palazzo Spilimbergo nel 1877. Così fu anche con l’amministrazione austriaca nel 1829. Nei primi del Novecento le scuole elementari furono spostate nel primo piano dell’edificio delle Poste. Rauscedo e Domanins si unirono anche a difesa delle proprie acque. L’antica roggia di Domanins (1426) fu prerogativa dei nobili Spilimbergo fino all’età napoleonica. La carenza d’acqua si faceva sentire ogniqualvolta le piene del Meduna distruggevano le paratie della presa d’acqua. Inoltre, negli inverni troppo rigidi il ghiaccio ostruiva il normale flusso dell’acqua e le due popolazioni, al suono della campana, correvano con pale e badili alla mano per togliere le ostruzioni dal canale. Con l’età napoleonica la gestione della roggia passò allo Stato. Nel 1911, il Comune di San Giorgio della Richinvelda diede il via al progetto per spostare la roggia nella località casa Maraldi.
Nel 1920, una nuova piena del Meduna distrusse la roggia. Il Comune, bloccato dalle lungaggini burocratiche, lasciò i due paesi senza acqua. I popolani dovettero approvvigionarsi con il trasporto delle botti da San Giorgio e da Castions. Infuriati, gli abitanti di Rauscedo e Domanins diedero assalto agli uffici comunali, ne distrussero gli interni e gettarono le suppellettili dalla finestra. In seguito al fatto, la giunta comunale si dimise al completo.
Negli anni Venti, il regime fascista cercò di unire i due paesi attraverso lo sport. Nel 1929 (negli anni in cui era già in auge la lotta per i confini) si costituì l’Associazione Calcistica Dopolavoro Domanins Rauscedo. Fu una iniziativa creata dal regime, quando nei due paesi ci furono già due gruppi associati distinti: il “Calcio Rauscedo” nato nel 1925, mentre a Domanins, in quegli anni, fu attiva una “Sportiva Juventus”.
Le due compagini si affrontarono varie volte nei prati del mulino di Domanins non senza liti e zuffe frequenti, anche se alla fine pacifiche e bonarie. Motivi e gli episodi di scontro erano diffusi e simili in tutti i paesi della campagna friulana. Ma un cambiamento si verificò per la questione del glisiut di San Zuan.
Il 1923 fu l’anno nel quale scoppiò la polemica tra Rauscedo e Domanins per una rettifica dei confini nella zona nord e nelle angoris e per il possesso del glisiut. Una narrazione storica della questione, breve ma chiara nelle sue linee essenziali, fu esposta in due opere del domaniniese Vannes Chiandotto: Vicende di paesi e Gallo Moschetta dalle trincee al sacerdozio. Altra fonte importante fu il duplice articolo apparso ne “Il Popolo” del 17 e 24 ottobre 1982, dal titolo “Il tempietto di San Giovanni conteso tra Domanins e Rauscedo” scritti dal signor Luigi Luchini, architetto di Domanins e studioso di storia locale.
Tutto cominciò con una lettera di don Carlo Sabot indirizzata alla curia. Don Sabot era il curato di Rauscedo che chiese alla curia di Concordia la rideterminazione dei confini tra la curazia di Rauscedo e la parrocchia di Domanins, con l’annessione della chiesetta del Giovanni Battista e l’estensione dei confini attigui per comprendere le case dei rauscedesi “presso i propri orti”. Il terreno oggetto di contestazione “non aveva mappa alcuna”, secondo don Sabot e secondo i curaziani. I rauscedesi, avendo costruito le proprie case in tale zone, non intendevano affatto esseri soggetti alla giurisdizione della parrocchia di Domanins e ritenevano tale condizione addirittura una “provocazione” così come riportato nel testo della missiva del curato che interpretava i loro sentimenti.
La richiesta di don Sabot rischiava di scatenare una contesa dirompente tra i due paesi e, la curia vescovile dal canto suo si adoperava sin da subito per reprimere ogni sollevazione o malumore. La sensibilità dell’epoca, affatto diversa dall’attuale poteva provocare reazioni incontrollabili tali da non prevederne gli effetti. Perciò, monsignor Paulini vescovo della diocesi di Concordia tentò subito una mediazione che nell’immediato non ebbe però successo. Ciascuno dei due sacerdoti difese la logica della propria parte. Depositari di verità e giustizia, i due uomini di fede dovettero anche essere interpreti della volontà del paese e difenderne o giustificarne il più possibile le ragioni.
Don Valentino Feit, parroco di Domanins, il 9 giugno 1926 scrisse due memoriali da inviare alla curia, in risposta alla richiesta formulata dal curato di Rauscedo tre anni prima. Nel primo, il pievano rammentava che la chiesetta rappresentava il lascito della famiglia D’Agostinis che l’aveva costruita con l’autorizzazione vescovile a condizione che l’edificio fosse soggetto alla cura e alla giurisdizione del parroco di Domanins, ricordando implicitamente anche le parole di don Claudio Zecchini del 1732. In particolare, don Feit sottolineava che il paese di Rauscedo non aveva “pel passato, e neppure oggi, mappa. Il paese è civilmente che ecclesiasticamente in mappa di San Giorgio”. Inoltre, nella medesima lettera don Feit precisava che il confine tra Domanins e Rauscedo fu tracciato trenta metri più a nord della chiesetta e che “settantacinque anni fa gli ingordi confinanti s’appropriarono del terreno al nord ed al ponente e la cinsero di mura in dette parti”. Con molta probabilità, al tempo della costruzione della nuova chiesa, i curaziani pretesero che il piccolo oratorio, posto non lontano dalle estremità della loro “villa”, facesse parte del territorio di Rauscedo.
Ancora oggi sono visibili le mura di sassi che circondano la chiesetta rendendola parte contigua dei propri confini, come si evince anche dal celebre dipinto di Angiolo D’Andrea (1880-1942) che risale proprio a quegli anni. Qualcuno a Rauscedo sostenne la tesi che la chiesetta fu costruita da una comunità di frati che in passato avevano il loro monastero in quella che poi sarebbe divenuta la Villa D’Agostinis. Si suppose, dunque, che un piccolo monastero di frati – facente parte di un grande convento austriaco – fosse stato costruito in quel luogo di transito e nel suo chiostro fu eretta una chiesetta di campagna dedicata a San Giovanni il Battista. E in base a ciò all’interno dell’abitazione si può ancora notare l’antica acquasantiera mentre la sala da pranzo ricorda molto gli elementi di una cappella. Inoltre, all’esterno della casa un particolare comignolo che richiama un piccolo campanile.
Ebbene, tale chiesetta sarebbe stata costruita proprio sul confine tra le comunità di Rauscedo e Domanins quasi a voler soddisfare le necessità spirituali di entrambe le popolazioni. Questa suggestiva “vulgata” rauscedese non sembra aver trovato però riscontro nei documenti. Don Feit condannò la proposta imprudente del curato e rivendicò il diritto storico della parrocchia di Domanins sull’oratorio per volontà della famiglia D’Agostinis. La mappa di Domanins era un vero e proprio “incaglio” e, tanto Rauscedo quanto la curia, dovevano tenere presente lo stato d’animo della popolazione di Domanins la quale era “eccitata al sommo”. A tal proposito, l’anziano parroco spiegava, nella sua lettera, che erano in molti gli uomini, le donne, e anche giovani e fanciulle, a recarsi da lui in canonica per sapere se il vescovo aveva deciso di togliere a Domanins il glisiut di San Giovanni per darlo a quelli di Rauscedo.
Nel secondo memoriale, don Valentino rammentò che anche il comune di San Giorgio alterò i confini tra le frazioni dopo il censimento del 1921 ma, scontrandosi con i ricorsi presentati in prefettura dalla popolazione di Domanins, dovette rinunciare e rimangiarsi il decreto. In questo sua seconda lettera, don Valentino menzionò anche i suoi cattivi rapporti con il curato in merito alla cura spirituale di quei paesani di Rauscedo risiedenti nel territorio di Domanins. Il parroco era anziano e da molto tempo ammalato. Valentino Feit era diventato parroco di Domanins nel 1908 (dopo esser stato curato a Rauscedo). Negli anni Venti la tubercolosi lo aveva colpito inesorabilmente e l’anziano sacerdote (che aveva ormai quasi sessant’anni) era costretto a stare letto oramai da lungo tempo.
In parrocchia da parecchi mesi si celebravano solo le messe domenicali, mentre l’attività pastorale, il catechismo per i giovani e i vesperi erano stati affidati ai sacerdoti dei dintorni. Era dal 1925 che a Domanins non si celebravano le prime comunioni! A tal proposito, intervenne la curia che prestò assistenza alla parrocchia di Domanins con don Natale Argenton parroco di Castions e vicario foraneo, con il cappellano don Giuseppe Falcon e anche don Carlo Sabot il quale, qualche anno dopo, diventò di fatto l’economo spirituale di Domanins sostituendo don Antonio Fioretta, inviato dalla diocesi di Concordia. In questa situazione i “rauscedesi di Domanins” pretesero che fosse don Carlo ad esercitare la loro cura spirituale.
Nel 1931, don Valentino Feit morì di tubercolosi. Nello stesso anno, la curia riprese sin da subito la faccenda dei confini presentando formale richiesta all’amministrazione comunale di San Giorgio. Ma l’autorità civile invitò la curia a non sollevare questioni che avrebbero potuto turbare l’opinione pubblica. L’anno successivo arrivò a Domanins il nuovo parroco don Baldassarre Gallo Moschetta (1° maggio 1932). Don Gallo, pur lamentando le imprudenze verbali di don Sabot e le villanie e prepotenze di quelli di Rauscedo, non era contrario ad un accordo con la curazia sulla rettifica dei confini e sul possesso del glisiut ma, al tempo stesso, non voleva urtare la sensibilità dei suoi parrocchiani e compromettere la quiete sociale, in particolar modo dopo i fatti accaduti tra don Valentino e don Carlo nel decennio precedente.
Negli anni Trenta le autorità civili ed ecclesiastiche abbandonarono perciò la questione e rinviarono la contesa a tempi più tranquilli ma non così fu per le due popolazioni. Gli esacerbati curaziani di Rauscedo videro così sfumare la possibilità di accaparrarsi le terre, gli orti e le proprie case e anche la chiesetta che, anche se fu voluta e costruita da una famiglia di Domanins, a parer loro, fu eretta nel proprio paese appena fuori la piazza Guglielmo Marconi. Quella piazza che nel corso degli anni sarebbe diventata la Piazza delle Cooperative con al centro la sede dei Vivai Cooperativi produttori delle viti innestate: le barbatelle. I più anziani raccontavano nelle loro storie le frequenti liti tra le diverse fazioni dei paesani. Le zuffe riguardavano perlopiù i giovani e avevano luogo a ridosso dei confini, nelle angoris, sulla via di San Giovanni, nella zona del mulino o sulla via Belvedere ove si incontravano i due paesi. E proprio in questo periodo nascevano molte canzonette e filastrocche burlone che le due popolazioni si scambiavano anche minacciosamente. Quelli di Rauscedo intonavano in gruppo: “Domanini, state sidini che avete la chiesa fuor dei confini!”. Un’altra invece recitava così: “Domanins, claudins, tic e tac l’omenat tal sacat!”. Quelli di Domanins rispondevano con parole e frasi non meno irriverenti e provocatorie.
I giovani si tiravano di tutto, dai frutti degli alberi ai sassi. Era difficile anche solo passare i confini ed entrare nel paese avverso o anche solo corteggiare una ragazza dell’altro paese. I due paesi un tempo andavano d’accordo, molti di Domanins passavano le serate a bere il bacò a Rauscedo e molti di Rauscedo si divertivano alla sagra di San Valentino mangiando i luins e molti fedeli di Rauscedo si recavano l’otto dicembre a Domanins per la Festa della Madonna. Non è un caso che la strada che tuttora parte dal viale Belvedere di Domanins e va fino alla via San Giovanni di Rauscedo si chiami proprio, con buon auspicio, “via della Pace”.
Per tutto il decennio, le discordie sui confini e sulla chiesetta proseguirono fino a coinvolgere i successori di don Feit e don Sabot: don Gallo Moschetta a Domanins e don Giovanni Delle Vedove a Rauscedo. All’inizio del 1939, la curazia di Rauscedo risollevava la questione alla curia concordiese per ottenere la rettifica dei confini. Il vicario foraneo don Natale Argenton, che propendeva più per Rauscedo, aveva inviato in curia due antichi documenti sulla chiesetta risalenti al 2 ottobre 1671 e al 12 agosto 1711 coi quali sosteneva che la parrocchia di Domanins avrebbe dovuto cedere pacificamente l’edificio sacro a Rauscedo.
Per l’acquisizione, la curazia avrebbe rimborsato la parrocchia di Domanins le spese del riatto, le quali ammontavano a quattromila lire, e solo in un secondo momento i due paesi sarebbero addivenuti ad una pacifica rettifica confinaria, previo accordo con le autorità civili e politiche. In seguito a questa posizione assunta dal vicario foraneo, a Domanins si verificarono molte proteste anche se in modo civile ed educato. Il 31 gennaio 1939 il vicario, all’esame dei due antichi documenti, costrinse la parrocchia di Domanins ad accettare la cessione e, se il paese di Domanins “non disarmasse” propose di interdire la chiesetta al culto o di farla demolire.
Don Moschetta era disposto ad un compromesso con la curazia di Rauscedo e aveva elaborato una sua proposta per chiudere la controversia, salvo la decisione superiore della curia. Il parroco di Domanins si era riunito con il conte Gualtiero di Spilimbergo e con i capifamiglia del paese per esporre il suo progetto ma aveva trovato in loro un’opposizione ferma ed irriducibile ad ogni proposta di cambiamento.
Si giunse al 6 giugno, giorno in cui don Gallo inviò una lettera al vescovo nella quale spiegò quali fossero le sue condizioni per un’eventuale cessione della chiesetta e dei territori adiacenti, cercando però di non cedere fino alla fine, anche richiedendo a tal proposito la mediazione del vicario generale. Non senza rammarico, don Gallo scrisse: “…tra breve i Superiori faranno il taglio della mia Parrocchia mi viene freddo al solo pensarne ma è necessario fare il sacrificio”. Il pievano chiese: la somma di lire 4.000 per la cessione della chiesetta, a fronte delle spese per lire 5.000 sostenute della Parrocchia di S. Michele Arcangelo in seguito alle necessarie riparazioni effettuate dopo la Grande Guerra; la somma di lire 1.000 per i territori circostanti. Don Gallo aggiunse: “quei tifosi e maleducati di Rauscedo vogliono ad ogni costo la chiesa e il territorio; e allora non è giusto che paghino?”. Lamentò poi il fatto che “quei furfanti di parrocchiani che vivono accanto a Rauscedo” non pagassero a lui il testatico. Inoltre, se Domanins avesse dovuto perdere quei territori, il povero don Gallo avrebbe subito le “le maledizioni dei successori” e l’opposizione ferma della popolazione ove “si prepara qualche scenata e forse urli e minacce e insulti a me e superiori”. Invece, la protesta a Domanins si mantenne entro i limiti dell’educazione, manifestando atteggiamenti rispettosi e civili.
Nel mese di maggio accaddero due fatti significativi. Il giorno 27 fu recapitata una lettera anonima, presso l’ufficio del vescovo, nella quale don Gallo Moschetta fu accusato e calunniato minacciando di ricorrere all’autorità della Congregazione del Concilio. Il secondo fatto accadde due giorni dopo. Il 29 maggio del 1939, il parroco di Domanins accompagnò i fedeli alla chiesetta di S. Giovanni per la celebrazione della Santa Messa. Arrivati in prossimità dell’oratorio, i fedeli di Domanins trovarono qualcosa che non si sarebbero mai aspettati di trovare. L’avvenimento fu descritto da don Gallo, un po’ di anni dopo, in una sua minuta:
“Il parroco di Domanins s’avviava verso la chiesetta di San Giovanni Battista per la celebrazione della S. Messa e, arrivato, trovò attorno all’oratorio una turba tumultuante di uomini e donne di Rauscedo decisi di impedire l’accesso all’oratorio”.
E per evitare “uno scontro di certo sanguinoso”, don Gallo decise di calmare gli animi e la stessa cosa fece don Giovanni con i suoi fedeli. I rauscedesi presidiarono il cancello d’entrata della chiesetta e i fedeli di Domanins protestarono. Nacque una zuffa e volarono pugni, calci e strattoni. Furono presentate numerose denunce all’autorità civile, sia da una parte che dall’altra. La memoria popolare riportò il fatto di due giovani che si azzuffarono fino a strapparsi la camicia di dosso.

Il vescovo Vittorio D’Alessi (succeduto a monsignor Luigi Paulini morto nel 1945) tentò di risolvere definitivamente l’annosa questione in modo assolutamente pacifico. Il 24 settembre 1946 si recò a Domanins per discutere la faccenda con don Moschetta durante una sua visita pastorale. Monsignor D’Alessi non incontrò però risposte favorevoli. Don Gallo spiegò al vescovo che le ragioni del diniego erano soprattutto psicologiche. In una lettera inviata al monsignor Vescovo, il pievano sosteneva che nel caso di una cessione quelli di Rauscedo “burleranno Domanins per tutti i secoli”.
Passò ancora qualche anno e, nel 1948, con il consenso dei capifamiglia, fu raggiunta un’intesa di massima riguardante i confini ecclesiastici tra curazia e parrocchia. A sollecitare l’accordo fu la manutenzione dell’edificio (in particolare del tetto) la quale richiese l’aiuto di entrambi i paesi. Per i confini fu escogitata una soluzione accettabile ma non fu così per la chiesetta. Le ragioni umane e psicologiche dei domaniniesi, della loro ferma volontà nell’opporsi ad una rettifica completa andavano ricercate non tanto nel mantenimento dell’integrità dei territori (dato che campi e orti in quella zona erano di proprietà dei rauscedesi), quanto la proprietà del tempietto.
La chiesa era l’oratorio privato di una famiglia che apparteneva a Domanins e si sentiva legata alla propria gente e alla parrocchia. Un eventuale spostamento dei confini, secondo il tracciato delle abitazioni dei rauscedesi e parte contigua del paese, andava bene ad entrambi i sacerdoti (non tanto per la maggioranza dei parrocchiani) ma, la chiesetta del Battista doveva “rimanere proprietà di Domanins” secondo l’eredità disposta dai suoi proprietari e così “sancita” dalla storia.
Monsignor D’Alessi, stanco della situazione e desideroso di chiudere la contesa, intervenne d’autorità. Il 2 febbraio 1949, il vescovo di Concordia con il decreto n. 255 stabilì il nuovo tracciato confinario secondo quanto concordato dalle parti. Due mesi dopo, fu emanato l’ulteriore decreto n. 754 del 1° aprile 1949 col quale si stabilirono le giornate nelle quali i fedeli dei due paesi avrebbero potuto usufruire dell’oratorio: A Domanins spettò il diritto di celebrare la S. Messa il giorno del Santo (24 giugno) e nella giornata delle rogazioni nella quale la parrocchia usò passare per l’oratorio; alla curazia di Rauscedo spettò il diritto di usufruire della chiesetta in tutti gli altri giorni dell’anno. Una lettera del vicario generale della diocesi, datata 14 giugno 1949, ribadì a don Gallo il diritto suo a celebrare la messa per la Festa del Santo e lo autorizzò a recitare anche una messa per il Sacro Cuore, senza per questo avvisare la popolazione affinché “non nascano fraintesi”.
Inoltre, in quel tormentato periodo scoppiò pure una polemica tra i due pievani in seguito ad una ferma richiesta di una famiglia di rauscedesi risiedenti in territorio di Domanins: i famigliari pretesero che l’unzione sacra e la sepoltura di un proprio defunto fosse officiata dal curato di Rauscedo. In tale caso, la curia risolse così la questione: al parroco di Domanins spettava l’estrema unzione e la facoltà di accompagnare la salma fino al confine con la curazia, dopodiché essa sarebbe stata trasportata al camposanto da parte del curato di Rauscedo o dei famigliari. Ovvero, la salma avrebbe dovuto essere trasportata fino al glisiut per poi essere portata nel cimitero. In una successiva lettera a don Gallo, il vicario generale ordinò al pievano di Domanins di accompagnare la salma fino al confine e “se i famigliari si rifiutassero, lascia se lo portino pure al confine senza sacerdote”. Non sarebbe stato facile per il parroco di Domanins entrare nella casa dei rauscedesi senza essere accolto con malanimo ma, Don Gallo, in una tale evenienza rispose che “un vecchio ardito non deve mai avere paura!”.
Per chiudere la questione, il confine fu rettificato nei terreni a sud e a est della chiesetta. Partendo dall’oratorio di San Giovanni il confine fu esteso verso sud per circa duecentocinquanta metri, all’altezza di una stradina laterale, termine ultimo delle abitazioni dei curaziani di Rauscedo. Da questo punto, esso fu spostato in diagonale verso est fino ad incrociare, ad angolo retto, il viale Belvedere. Alla sua destra fu lasciato a Domanins il vecchio mulino e la strada posta alle sue spalle (oggi via Pineta).
Il tracciato proseguì verso est sul grande viale che conduceva a San Giorgio, dividendo le terre alla sua sinistra, che passarono sotto Rauscedo, e quelle alla sua destra che invece rimasero sotto Domanins fino al limite della strada dei Clapas. Le case e i campi ad est dei Clapas passarono sotto la giurisdizione della curazia di Rauscedo. La curazia acquisì entro i suoi nuovi confini l’intero isolato compreso tra le attuali via San Giovanni, via Udine e una parte del viale Belvedere (la qual parte fu denominata in seguito via del Sile) e anche la via Clapat.
Il paese di Rauscedo, da uno sparuto gruppo di case quale fu, poste attorno alla piazzetta del Borgo, si allargò fino al Belvedere, tagliando fuori Domanins dal capoluogo San Giorgio. La proprietà della chiesetta fu lasciata in sospeso ma, i rauscedesi, nient’affatto paghi, insistettero per una soluzione definitiva della controversia. Si verificarono ostruzionismi e forti screzi verso i parrocchiani di Domanins, volti ad impedire il legittimo utilizzo dell’oratorio, e continue pressioni nei confronti delle autorità al punto da costringere la curia all’emanazione di un nuovo decreto l’anno successivo.
L’11 maggio 1950, monsignor Vittorio De Zanche, nuovo vescovo di Concordia dopo la morte di Vittorio D’Alessi l’anno prima (9 maggio 1949), emanò un terzo decreto n. 1056, disponendo in via definitiva che:
1) L’oratorio di San Giovanni è e rimane di proprietà della parrocchia di Domanins.
2) La parrocchia di Domanins cede l’oratorio in uso perpetuo alla Curazia di Rauscedo con particolare condizione di cui sub A) Decreto n. 754 del 1° aprile 1949, completata come segue: con facoltà di cantare la S. Messa, tenere panegirico, etc. escludendo i vespri che saranno cantati nella parrocchiale. Se la solennità di S. Giovanni cade in festa di precetto sarà rimandata al giorno seguente. Circa le rogazioni viene stabilita la seconda giornata per Domanins e la terza per Rauscedo.
3) La Curazia di Rauscedo rimane obbligata in perpetuo alla custodia, conservazione e manutenzione ordinaria dell’oratorio e sarà la consegnataria delle chiavi.
4) Il Parroco di Domanins provvederà all’immediata consegna dell’oratorio nello stato e grado in cui si trova attualmente, dotato però del minimo indispensabile per l’esercizio del culto.
5) L’inventario degli arredi di cui sopra dovrà essere da noi approvato e quindi firmato e scambiato tra i due sacerdoti all’atto della consegna dell’oratorio. Tale inventario fa parte integrale del presente decreto che sarà custodito nei rispettivi archivi.
L’ultimo punto del decreto regolò la condizione spirituale e pastorale di due famiglie di rauscedesi le cui abitazioni, anche dopo la rettifica, rientrarono nel territorio di Domanins (precisamente nella località Cà Cantoni situata sul lato destro del Belvedere).
Infatti: 6) Ad accondiscendere al desiderio delle famiglie D’Andrea Elio di Celeste e D’Andrea Teresa vedova D’Andrea Silvio che insistono di appartenere alla curazia di Rauscedo concediamo che, con la data del presente quelle famiglie passino a tutti gli effetti canonici sotto la giurisdizione spirituale di quel curato, riservando però al parroco di Domanins il rito della benedizione pasquale.
A questo decreto lo stesso giorno, ne seguì un altro: il n. 1057 – il quarto della lunga vicenda – col quale monsignor De Zanche redasse l’elenco inventariale degli arredi sacri della chiesetta. Il decreto fu controfirmato dai due sacerdoti: don Gallo Moschetta e don Giovanni Delle Vedove. Il Cancelliere della diocesi ringraziò, con un lettera personale, i due sacerdoti per aver accettato di buon grado le disposizioni del decreto vescovile.
Il decreto n. 1056 pose fine all’annosa controversia e ad ogni velleità campanilistica tra i due paesi. Le disposizioni del vescovo favorirono soprattutto Rauscedo che ottenne ciò che desiderò da sempre. A Domanins, la cessione definitiva del “glisiut di San Zuan” a Rauscedo, seppur solo parzialmente, fu accompagnata da brontolamenti e sentimenti contrariati. Il diritto di territorialità di Rauscedo prevalse sul “diritto naturale delle genti” di Domanins, secondo il quale un paese fu definito come un gruppo storico di famiglie legate dalla convivenza nel tempo.
L’oratorio di San Giovanni fu voluto e creato dai D’Agostinis, una famiglia che volle appartenere a Domanins ma esso fu costruito in terra di Rauscedo. Don Gallo Moschetta, poco prima di lasciare la parrocchia di Domanins nel settembre 1972, redasse il proprio testamento morale auspicando la costruzione di una chiesetta o di un sito dedicato alla Madonna, non solo per l’ex-voto fatto durante la guerra, ma anche per colmare il vuoto lasciato dalla chiesetta di San Giovanni Battista. Tale volontà fu esaudita negli anni Ottanta con la costruzione del Monumento all’Emigrante e al Viandante il quale fu consacrato come capitello religioso (1986).
Le vicende della chiesetta di San Giovanni riacutizzarono quella che fu un’antica rivalità tra i due paesi e la cessione del tempietto a Rauscedo lasciò i suoi strascichi lungo le generazioni. La guerra dei confini ebbe il suo termine ma il campanilismo, anche se con minore intensità si mantenne vivo per più decenni. I fedeli di Domanins, sotto l’ala protettiva di Don Gallo Moschetta, continuarono a recarsi ancora al glisiut di San Giovanni nella giornata festiva e nella rogazione. Ma, una volta che don Gallo se ne fosse andato da Domanins le cose sarebbero potute cambiare. Tutto sarebbe dipeso dalla loro caparbietà e dal loro orgoglio, sfidando gli screzi e le invettive di quelli di Rauscedo.
Don Gallo rimase parroco a Domanins fino al mese di ottobre del 1971 dopodiché vi rimase in parrocchia in qualità di economo spirituale. Il 24 settembre 1972 lasciò per sempre Domanins e la parrocchia nella quale aveva trascorso quarant’anni di sacerdozio.
Verso la fine del secolo passato le due comunità lasciarono alle proprie spalle la diatriba che le separò per molti anni e trovarono lentamente il modo di riappacificarsi.
La Curazia di Rauscedo, dopo il decreto emanato da monsignor De Zanche, provvide subito a riparare il tetto della chiesetta di San Giovanni. Nel 1972 il comune finanziò il rifacimento del pavimento e il restauro dell’altare ligneo, sotto la guida del parroco don Elvino Del Bel Belluz in carica dal 1969 al posto di don Giovanni Delle Vedove (Rauscedo divenne parrocchia nel 1957). Nel 1982 furono gli Alpini di Rauscedo a restaurare in modo completo il tempietto dandogli una nuova decorazione e nuovi banchi.
Con il passare degli anni, Domanins “abbandonò” gradualmente l’interesse e le attenzioni verso la chiesetta e il culto di S. Giovanni. La cura solerte della parrocchia di Rauscedo e la partecipazione folta e calorosa dei fedeli alle messe, e soprattutto, le insistenze della parrocchia indussero la curia ad emanare una nuova regolamentazione per la chiesetta di San Giovanni Battista.

Nel 1993 le parti addivennero ad un nuovo accordo. Il 16 luglio il vescovo di Concordia-Pordenone Monsignor Sennen Corrà si incontrò con il parroco di Domanins don Giuseppe Liut e il parroco di Rauscedo don Elvino Del Bel Belluz. Il 25 novembre successivo ci fu il Consiglio Presbiteriale, in seguito al quale fu emanato un nuovo decreto nel giorno 10 gennaio 1994.
Le nuove disposizioni previdero che la chiesetta di San Giovanni fosse ceduta definitivamente alla parrocchia di S. Maria e S. Giuseppe di Rauscedo e così “Vengono stabilmente rettificati i confini tra le parrocchie di S. Michele Arcangelo di DOMANINS e Santa Maria e San Giuseppe di RAUSCEDO”. Secondo il testo del decreto: “Con la presente rettifica dei confini tra le due parrocchie, si considera superata la disposizione di cui al n. 1 del Decreto n. 1056 del Vescovo Mons. Vittorio De Zanche in data 20 maggio 1950, per cui la proprietà dell’Oratorio San Giovanni Battista, già concesso in uso perpetuo alla parrocchia di Rauscedo con alcune clausole in favore della parrocchia di Domanins, viene trasferita giuridicamente alla parrocchia di Rauscedo, rimanendo valide le clausole stesse”.
Il Decreto n. 8551 del 10 gennaio 1994 entrò in vigore il 20 febbraio successivo, alla prima domenica di Quaresima. Per la rettifica dei confini la delibera così dispose:
“SUD-OVEST: partendo dalla strada comunale Belvedere fino al torrente Meduna, il confine è segnato dal limite dei fogli catastali n. 32 e 35 della mappa del Comune di San Giorgio della Richinvelda.
SUD-EST: partendo dalla stessa strada comunale Belvedere, il confine segue la strada comunale del Molino fino a raggiungere il canale d’irrigazione segue lo stesso canale fino al ponte sulla strada Domanins-San Martino al Tagliamento.
NORD: il confine prosegue lungo detta strada, che costeggia il canale d’irrigazione, fino a raggiungere il confine tra i Comuni di San Giorgio della Richinvelda e San Martino al Tagliamento, che segue fino all’incrocio della strada per Barbeano, sul confine tra i Comuni di San Giorgio della Richinvelda e Spilimbergo”.
Al decreto fu allegata la mappa con le relative rettifiche. Con tale provvedimento, da un lato la parrocchia di Rauscedo acquisiva in perpetuo sia la proprietà giuridica della chiesetta sia il suo utilizzo per tutte le cerimonie religiose, dall’altro lato, veniva sistemato una volta per tutte il confine tra via del Sile e la via Belvedere. Sul lato sinistro del viale Belvedere, Domanins comprendeva il Mobilificio Lenarduzzi, il ristorante pizzeria “La Barbatella” e l’abitazione subito a seguire. Sul lato destro, Domanins retrocedeva alla stessa altezza del confine posto sulla sinistra. Il tracciato della via Clapat non faceva più da limite tra le due frazioni. I confini esatti sono oggi contrassegnati dalla segnaletica stradale.
Dopo settant’anni di lotte, la chiesetta di San Giovanni Battista passò totalmente e in perpetuo alla parrocchia di Rauscedo. La chiesetta fu costruita sul terreno rientrante nella giurisdizione della curazia anche se, a costruirla, non furono quelli di Rauscedo. La famiglia D’Agostinis voleva appartenere alla parrocchia di San Michele Arcangelo di Domanins perché, all’epoca, la piccola curazia di Rauscedo era retta da un semplice cappellano dipendente dalla pieve di San Giorgio, alla quale l’illustre famiglia non voleva legarsi.
Negli ultimi tempi, il 24 giugno, nel giorno della festa del Santo, la stradina difronte alla chiesetta viene chiusa al traffico dei veicoli per lasciare il posto ad un banchetto al quale partecipano i paesani. Quella strada è stata ribattezzata “Largo Elia Crovato”. Il signor Elia Crovato (podestà del comune di San Giorgio in epoca fascista) fu imprenditore e proprietario delle fornaci di Rauscedo e dell’antica Villa D’Agostini – la sua residenza – nel cui giardino era situata la chiesetta del Battista.
Nel 2001, per la prima volta dal 1479, le due parrocchie furono amministrate da un unico sacerdote: don Danilo Olivetto di Maniago che sostituì don Elvino Del Bel Belluz per Rauscedo e don Franco Zanus Fortes per Domanins.
Con il passare degli anni le due comunità hanno trovato il modo di convivere pacificamente e collaborando ulteriormente in diverse attività parrocchiali e della vita sociale.
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Ora che siamo già entrati nella frazione Rauscedo, ci addentreremo a visitare questo paese cominciando dal suo insediamento urbano più antico.