Quel ruscello che nasce dal Meduna

La tappa successiva della visita ai paesi della Richinvelda ci porta a Rauscedo. Nel paese ci siamo appena entrati esaminando la secolare e tormentata storia dell’oratorio di San Giovanni Battista.
Rauscedo è il paese più popolato del comune e conta più di milletrecento abitanti.
Proseguiamo fino in fondo alla via S. Giovanni e arriviamo al centro del paese, in Piazza delle cooperative. Il centro divide Rauscedo in due parti: alla nostra sinistra si trova la Rauscedo vecchia; a destra sorge la Rauscedo nuova o di più recente formazione. Tale distinzione non è ovviamente perfetta ma ricalca grossomodo due parti di un’unica comunità che sono state divise dalla storia, in particolare dai segni dell’innovazione e del progresso economico.
Ci rivolgeremo quindi, prima al paese vecchio per conoscere le origini di Rauscedo, del suo nome e della sua gente. Alle tracce lasciate nel territorio e nella storia dedicheremo questa parte del viaggio.
Il “Borg di che volta”

Giunti alla Piazza delle cooperative ci troviamo davanti il bar centrale “Bar da Remo”, luogo di incontro del tempo libero quotidiano dei paesani.
Alla sua destra, diviso da un giardino di una villa c’è un vecchio edificio con una cooperativa di consumo di beni alimentari e un salone di parrucchiere. Alla sinistra del bar, diviso da una strada privata, si trova il recapito della Società Agricola per la Difesa dei Prodotti Agricoli che fa angolo con il caseggiato. Dietro di esse, nella stradina privata che la divide dal bar da Remo si intravede una villa antica e restaurata. Su questi edifici ci soffermeremo dopo, nella successiva parte del viaggio.
Girando a sinistra la piazza continua verso sud. A sinistra troviamo l’ingresso della villa Crovato – già villa D’Agostinis – di proprietà della omonima famiglia che possedeva una fornace di calce ai margini del paese. E’ questa la villa dell’antica famiglia che costruì l’oratorio di S. Giovanni Battista, le cui mura di pietre racchiudono la chiesetta medesima e ancora visibili nella loro integrità. A destra inizia la strada che porta a Vivaro e a Maniago, “via Maniago” ove fuori dell’abitato si giunge alle Fornaci Crovato e più avanti il dosso artificiale che delimita il torrente Meduna.
La piazza centrale di Rauscedo continua fino a restringersi e a formare una strada lunga che porta il viaggiatore fino alla chiesa – tale “via della chiesa” – che ha il suo termine nel largo che si forma dinanzi alla parrocchiale di S. Maria e S. Giuseppe. Stradina stretta e di riva in giù, la via della chiesa è caratterizzata da una schiera di case vecchie, alcune ristrutturate in pietra o tinte con colori vivaci e attaccate l’una con l’altra per diversi tratti.

La strada poi prosegue come “via Borgo Meduna” fino al cimitero, curvando a destra nel largo prima del viale che porta al camposanto fino a perdersi nei campi in direzione del torrente omonimo. Curvando a sinistra la strada diventa “via dell’Agricoltura” perdendosi nelle grave a sud sfumando nel territorio di Domanins costeggiando da est la Selva. In quelle zone, è attiva e fiorente l’azienda agricola Genagricola, un tempo l’azienda del barone Giuseppe De Paoli nata nel 1974. Dagli abitanti del luogo è chiamata “Le Generali” o l’azienda “dal Baron”.

Una strada laterale a sinistra, dopo l’imbocco di via dell’Agricoltura, è “via Padre Giovanni D’Andrea” dedicata ad un frate originario di Rauscedo e istituita nel 2005. Tale strada si congiunge con la via Piancavallo di Domanins attraversando la zona del Frabosc.
Via della chiesa e via Borgo Meduna sono composte da più viuzze laterali, da una parte e dall’altra, toponimi e “agrotoponimi”: “Viuzza”, “Angoris”, “Artisti”, “Ciampus” che sfumano nei campi.

Questa borgata, che prende giustappunto il nome di “Borgo”, Borg o Borc in friulano, è particolarmente tranquilla e molto accogliente per chi ama la serenità dei campi, lontano dal rumore del traffico quotidiano. Fino a qualche decennio fa qui si svolgeva la Fiesta dal Borc, una sagra paesana così diffusa nei centri rurali come Rauscedo fino agli anni ottanta del secolo scorso. E fino agli inizi del Novecento era qui che si trovava il centro del paese, una sinuosa strada di poche case immerse nella quiete della campagna fatta di sterpaglie e di sassi in un’atmosfera senza tempo. La vita nel presente e nel passato di questa amena borgata è narrata nei numerosi articoli scritti dal rauscedese Luigi D’Andrea, pubblicati sul bollettino parrocchiale che esce periodicamente a Natale così come in altri giornali, nei quali descrive con la forza di una prosa figurata e poetica aneddoti e personaggi del “Borg di che volta”.

Esso è un luogo ideale per trascorrere le serate seduti all’aperto o fare passeggiate fra i prati e i campi nella bella stagione. Il rinomato ristorante e osteria al Favri, situato appena dopo la chiesa raccoglie i clienti appassionati di questi luoghi e amanti di un ambiente rustico con gli interni che ricordano le locande contadine di un tempo, con arredamento in pietra e in legno e addobbato con vecchi attrezzi agricoli. Sorta nel 1865, il ristorante era un tempo osteria, laboratorio di fabbro, negozio di alimentari e beni coloniali, vero fulcro commerciale del paese a quell’epoca. L’osteria è tuttora proprietà della famiglia Fornasier. Il vecchio Leandro Fornasier (1923-2008) che gestì il locale per qualche decennio fino al 1993 creò la dicitura e tipologia del “cabaret agricolo”, un luogo di consumo e aggregazione sociale per contadini con eventi di vario tipo, giochi di carte, gare di bocce e dalla musica con canto, fino alla lettura di poesie e al racconto di aneddoti, sia di svago sia di impegno, che spaziavano dalla politica, alla letteratura, all’arte. Lo stesso Leandro era un noto e apprezzato giornalista e vignettista satirico locale che pubblicava i suoi disegni sul Gazzettino e su altri periodici e che esibiva anche durante le serate al Favri.

Il centro del borgo, che ruota attorno alla chiesa parrocchiale, è incantevole e ben curato in ogni suo particolare. Accanto alla chiesa di S. Maria e S. Giuseppe si trova il cinema “Don Bosco”, luogo di convegni e serate teatrali. Il centro offre i Piaceri del Borgo caffetteria e cioccolateria allestita con gazebo e tavolini all’aperto.
Le due strade del Borgo compongono quindi un lungo viale che un tempo era l’unica arteria della vecchia Rauscedo quella che nel primo Ottocento portava all’antica chiesa parrocchiale di Santa Maria e terminava nella piazzetta dinanzi al suo ingresso, ossia il centro dell’insediamento di allora. Quando a metà del secolo diciannovesimo fu costruita l’attuale chiesa parrocchiale di S. Maria e S. Giuseppe, la quale sostituì la primitiva destinata alla demolizione, il centro geografico e sociale di quella piccola comunità si spostò nello spiazzo creato dal nuovo edificio religioso e l’antica piazzetta diventò allora il “Borgo”. Questa dizione abbandonata poi negli anni è rimasta ancora nella memoria di qualche paesano.

Rauscedo si era quindi espansa verso est e nel luogo della vecchia parrocchiale venne edificato il nuovo cimitero. Per usare le parole di don Giovanni Basso, sacerdote originario di Rauscedo, e riportate in un suo interessantissimo libro con le quali descriveva la sua infanzia nel paese natale:
“A quel tempo il centro del paese era attorno alla Chiesa ed il suo nucleo si estendeva ad ovest fino là di Nuglit, a est fin là di Bepi Fornaseir, a nord fino là di Gegia e a sud fino lì del Glesiut. Il Borg era un po’ staccato dal centro del paese, così pure via Poligono e via Maniago, oltre la bottega di Gegia”.
Il libro Ricordi giovanili di Rauscedo. Il paese delle barbatelle è l’opera più completa ed esaustiva per conoscere la Rauscedo di un tempo: una lunga narrazione ricca di aneddoti e di particolari della sua infanzia contadina, un’età laboriosa, spensierata e ricca di antichi valori in parti dimenticati o persi nella Rauscedo di oggi. La sua descrizione del paese ricalca l’estensione dell’abitato più datata nel tempo. Abbiamo appreso nella prima parte del viaggio come le frazioni di Rauscedo e Domanins subirono numerosi danni a causa delle frequenti inondazioni del Meduna e il di cui letto scorreva a ridosso delle abitazioni fino alla sua definitiva deviazione con l’arginatura artificiale avvenuta nel 1886.
Rauscedo nacque accanto al letto di questo torrente che nasce dalle Dolomiti friulane. L’etimologia del nome “Rauscedo” riporta infatti a due diverse interpretazioni. Secondo la prima il nome deriva da “rausea” che nel basso latino significa “canna” o “canneto”. La seconda, invece, legata alla prima da un medesimo nesso topografico, deriva dalla composizione dei nomi “rau” (“orrido”) e “seeder” (“stagno”). Vi è tuttavia un’ulteriore interpretazione secondo la quale Rauscedo deriverebbe dal latino medioevale “rauscedo” col significato di ruscello e indicante perciò una zona acquitrinosa o vicina a un corso d’acqua. La zona, dove è sito il paese, è infatti di origine paludosa. Il corso del torrente Meduna scorreva un tempo vicino all’abitato e spesso nelle sue piene straripava inondando le case.
Il suo nome comparve per la prima volta nel XIII secolo fra i possedimenti dei monasteri carinziani di San Michele di Millstatt e di San Paolo in Lavanthal. Rauscedo appartenne all’antichissima pieve di San Giorgio (“plebem S. Georgei”). Come Domanins, dal 1077 Rauscedo divenne parte del Patriarcato di Aquileia dal punto di vista civile, dalla Diocesi di Concordia da quello spirituale. Sin dal XIII secolo la giurisdizione era esercitata dai signori di Spilimbergo che detenevano la potestà civile e criminale. Inoltre, avevano qui i loro possedimenti anche il monastero di St. Paul in Lavanthal e i signori di Porcia. La cura delle anime fu affidata ad un unico parroco per Rauscedo e per il vicino paese di Domanins. Nel 1494 Rauscedo divenne Curazia, nel 1894 Curazia Indipendente e, infine, nel 1957 divenne Parrocchia.
Ma esaminiamo ora la storia e le caratteristiche dei suoi manufatti artistici partendo dal centro storico del paese vecchio.
Le abitazioni rurali
La caratteristica che balza per prima agli occhi del visitatore è la schiera di abitazioni rurali che procedono unite l’una all’altra ininterrottamente fino al fondo della piccola piazza del vecchio Borgo. Sono queste le case vecchie della Rauscedo primigenia, quella di una volta. Le case hanno le precise caratteristiche delle abitazioni rurali. Di questi ne è testimonianza solo superficiale, il “Porton”.
“Porton” inteso nel suo contesto anzitutto urbanistico in quanto l’esistenza nei centri rurali di case a schiera senza interruzioni, (con stalla e fienili annessi) imponeva che gli accessi carrai venissero previsti vicino alle stalle, per dar accesso ai cortili stessi.

In secondo luogo sotto l’aspetto estetico e strutturale, in quanto la parte esterna che doveva sorreggere il muro portante dell’abitazione, era formata da due colonne e racchiudevano l’apertura creata con un arco, quasi sempre ribassato che poteva essere costruito in sassi, in mattoni o per i più ricchi in pietra squadrata.
Per terzo, da un punto di vista abitativo e funzionale, in quanto gli stessi formavano la “loibia” che era utilizzata per ricovero attrezzi, deposito ed anche per le lavorazioni necessarie all’agricoltore.
I portoni si trovano numerosi in via della Chiesa, in via Borgo Meduna e qualcuno si trova sulla via Maniago.

La chiesa parrocchiale di S. Maria e S. Giuseppe
Tra via della Chiesa e via Borgo Meduna troviamo la Chiesa arcipretale. Essa fu costruita negli anni 1845 – 1850 dall’impresa Costantini di Castions di Zoppola in sostituzione della più antica chiesa di S. Maria – un tempo presente nell’attuale cimitero di borgo Meduna – su progetto dell’architetto veneziano Francesco Lazzari. Di stile neoclassico, conserva il tabernacolo e altare di S. Giuseppe provenienti dall’antica chiesa di S. Maria.

La chiesa conserva alcuni pregevoli dipinti, fra i quali spicca la seicentesca pala dell’Incoronazione della Vergine. Visitazione e donatore di Matteo Ingoli, di proprietà dell’Accademia di Belle Arti di Venezia e di cui Rauscedo ha il diritto di custodia acquisito in seguito alle disposizioni date dal pittore Jacopo D’Andrea che la restaurò.


Sullo stesso lato ma rivolto all’altare maggiore la Natività di Angiolo D’Andrea (Rauscedo, 1880 – 1942); tela un tempo adoperata come sfondo scenografico per il presepe allestito all’interno della chiesa, mentre il dipinto a olio inserito sul lato sinistro nell’altare di S. Giuseppe raffigura il Transito di S. Giuseppe che alcuni studiosi attribuiscono al pordenonese Michelangelo Grigoletti (sec. XIX), mentre secondo altri a Luigi Nono.


L’edificio parrocchiale con il campanile è stato oggetto di un ampio restauro esterno nel 2004 e interno nel 2006 con lavori di tinteggiatura, rifacimento dell’impianto elettrico, riparazione cornicione, sostituzione vetrate. Nel 2005 è stato sostituito l’angelo del campanile con l’opera originale del compaesano Luigi Fornasier installato per la prima volta il 29 ottobre.
Accanto alla chiesa è presente e attiva la sala del vecchio oratorio e cinema parrocchiale “Don Bosco”, riutilizzato per spettacoli teatrali e conferenze.

La canonica è il luogo dei gruppi giovanili dell’Azione Cattolica Italiana: l’A.C.R. e l’A.C.G. A Rauscedo esiste anche un Gruppo Giovani laico, due gruppi teatrali Sempri chei e Che altris.
Nella canonica si svolge la tradizionale Festa della Madonna il giorno 8 settembre, patrona della parrocchia. In quel cortile si svolgeva un tempo anche la Festa del Ciao, la giornata che chiudeva l’anno di attività dell’Azione Cattolica. Sia nella canonica che nel cinema Don Bosco era solita esibirsi nei suoi concerti la Crazy Etilic Band, gruppo musicale autoctono che suonava “rock bucolico” un originalissimo genere musicale che ha reso nota la band nei dintorni per tutti i vent’anni della sua attività dal 1994 al 2014.

Le campane sono state rifuse nel 1948 dalla ditta Francesco ing. De Poli di Vittorio Veneto. Pesano tutte e tre 12 quintali. Il paese, in quella circostanza, avrebbe voluto campane più grandi, ma la cella campanaria non avrebbe sopportato un peso superiore. Sulle campane ci sono le immagini della B.V., di S. Giuseppe, S. Antonio, del S. Cuore, S. Giovanni.
“Clame necesse et populus ad sonitum ingredi festinet in atria sancta Domini. 2) Procul pellantur omnes insidiae inimici, fragor grandinum, impetus tempestatum. 3) Predica verbum opportune, importune”.
All’angolo tra via della Chiesa e via Artisti si trova il Capitello di via Artisti dedicato alla Madonna.
Il centro storico del paese vecchio è anche il centro sociale di Rauscedo o meglio, delle sue associazioni. In chiesa canta la rinomatissima Corale di Rauscedo fondata nel 1979 dal maestro Sante Fornasier la quale si è esibita in molti luoghi e palcoscenici di Italia e di Europa. Incantevoli sono il tradizionale Concerto di Natale e le serate della Ciantada sot il porton in una vecchia abitazione di via della Chiesa.
Il Monumento ai caduti di tutte le guerre
Accanto alla chiesa si trova il Monumento ai caduti. Elenco qui i caduti di Rauscedo di ogni guerra.
Caduti nella Prima Guerra Mondiale 1915-18:
Aiutante di Battaglione D’Andrea Emilio caduto sul Monte Grappa, medaglia d’argento; Aiutante di Battaglia Fornasier Virgilio; Aiutante di Battaglia Basso Angelo, deceduto in prigionia a Hochdruf (Germania), medaglia di bronzo;
Caporal Maggiore Basso Andrea caduto sul Medio Isonzo; Caporal Maggiore D’Andrea Achille caduto sul Monte Nero; Caporal Maggiore D’Andrea Agostino deceduto a Rauscedo dopo malattia; Caporal Maggiore D’Andrea Andrea deceduto in prigionia in Austria;
Caporale Facca Natale, cavalleggeri Monferrato, caduto sul Carso; Caporale Rovere Albino, deceduto in prigionia a Innichen (Austria);
Soldato Basso Attilio, fanteria, deceduto per malattia in prigionia a Lechfels (Austria); Soldato Basso Guerrino, artiglieria da campagna, caduto a S. Pietro sull’Isonzo, medaglia di bronzo; Soldato Basso Pietro, alpini, caduto per soffocamento da valanga in Val Dogna; Soldato Bertuzzi Osvaldo, fanteria, deceduto per malattia o caduto in trincea per opera di un cecchino austriaco; Soldato Bisutti Giuseppe, alpino; Soldato Cancian Antonio, fanteria, caduto; Soldato Cancian Guerrino, granatieri, disperso sul Carso; Soldato Cancian Vittorio, alpini, caduto sul Monte Nero; Soldato D’Andrea Angelo, fanteria, disperso sul Monte San Michele; Soldato D’Andrea Giovanni, fanteria, disperso nella ritirata verso il Piave; Soldato D’Andrea Luigi, fanteria, deceduto per malattia in prigionia a Milowitz (Boemia Austria-Ungheria); Soldato D’Andrea Luigi, genio minatori, caduto sul Monte Grappa; Soldato D’Andrea Luigi, fanteria, caduto sul Medio Isonzo; Soldato D’Andrea Pietro, deceduto per malattia; Soldato D’Andrea Sante, deceduto per malattia; Soldato D’Andrea Silvio, alpino, caduto in Val Dogna; Soldato De Paoli Beniamino, caduto causa gas asfissianti sul Monte San Michele; Soldato De Paoli Giuseppe, disperso; Soldato Lovisa Olivo, milizia territoriale, deceduto per malattia.
Civile Leon Luigi ucciso a Rauscedo da un ufficiale austriaco per una requisizione di bovini, durante gli ultimi giorni dell’occupazione austro-tedesca il 30 ottobre 1918; Civili Cornelio e Gaspero Pascutto di anni 7 e 6 deceduti dallo scoppio di una bomba nei pressi della loro abitazione.
Vediamo ora i caduti e i dispersi sui vari fronti della Seconda guerra mondiale 1940-1945:
D’Andrea Giuseppe (famiglia Mike), D’Andrea Guglielmo, Basso Giuseppe (Pipa), Volpe Leandro caduti nell’affondamento della nave “Galilea” nel Mar Ionio il 28 marzo 1942, alpini in forza nel Battaglione “Gemona”. D’Andrea Pierino superstite;
Fornasier Angelo caduto a Cefalonia nel settembre ’43 contro formazioni tedesche; Basso Attilio deceduto sull’Isonzo in un rovesciamento dell’autocarro su cui viaggiava; Cancian Armando, Milizia di Difesa Territoriale (Repubblica Sociale Italiana), caduto in combattimento a Rifembergo (Gorizia) il 20 settembre 1944; D’Andrea Sante, alpino Battaglione “Gemona” deceduto in prigionia in località sconosciuta della Germania; De Candido Arbeno, fanteria, caduto a Bosgrahovo (Bosnia); D’Andrea Angelo, guardia armata di frontiera (Repubblica Sociale Italiana), disperso in Jugoslavia.
Caduti nella campagna di Russia 1941-1943 (accanto al nome inserisco tra parentesi il soprannome personale o di famiglia per superare la difficoltà di identificazione creata dall’omonimia):
D’Andrea Luigi (Regin); D’Andrea Natale (Spagnol); Fornasier Elia (di Bepi); Fornasier Natalino (Gialin); D’Andrea Celeste (Pici) caduto a Nowopostojalowka, medaglia di bronzo; D’Andrea Giovanni (Grispa); Bisutti Natalino (Forcia); Leon Aldo (Rus).
I dispersi furono: D’Andrea Lino (Scaia); D’Andrea Giovanni Battista (famiglia Mike) a Nowo Georgewka; D’Andrea Giuseppe (Ansulmuni) a Taliza; Fornasier Alfonso (Biso) nel campo di Tambow; Fornasier Giuseppe (Tunta) a Seleny Jar.
Caporal Maggiore D’Andrea Vittorio risulta deceduto durante il trasferimento in Siberia ma secondo altri caduto in Albania.
Civili caduti: Fanno molta tenerezza le storie dei civili che sono deceduti a causa della guerra, giovani e indifesi. Basso Pompeo, deceduto in prigionia in un campo sconosciuto della Germania; D’Andrea Anna Giuseppina, deceduta il 25 aprile 1945 in seguito ad un mitragliamento aereo. In memoria è stata eretta una targa presso la chiesetta del guado del Meduna; De Paoli Beniamino, deceduto in seguito allo scoppio di un ordigno il 13 agosto 1945.

Vediamo meglio le storie di cui si conoscono molti particolari.
La guerra porta con sé sempre morte, distruzione e altri drammi permanenti. Uno dei problemi diffusi è quello delle nascite dei cosiddetti “figli della guerra” ossia i bambini nati dalla unione fuori dal matrimonio di donne con i soldati e spesso non consenziente e determinata da violenze e soprusi.
Su questo particolare dramma che le guerre si portano dietro, anche la Grande Guerra ’15-’18 ha lasciato strascichi nei paesi della Richinvelda. Il cardinale Celso Costantini, grande e celebre autorità ecclesiastica e uomo di grandi opere e di grande animo, nel 1918 era vicario generale del Vescovo di Concordia.
Il giorno 2 dicembre ricevette la visita di una donna a capo coperto e con un fagotto tra le mani. Ella aveva il fazzoletto calzato sopra i suoi occhi, scoprì il fagotto e mostrò al don Celso un bambino appena nato. La donna si rivolse al prelato e gli confidò che il piccolo era suo ma non del marito e perciò gli chiese se ci fosse un orfanotrofio disponibile e pronto per accoglierlo.
Don Celso, negli anni successivi, affermò nella sua opera Foglie secche che la visita di quella donna diede a lui l’idea di fondare l’Istituto S. Filippo Neri per l’accoglienza e la cura dei “figli nati dalla guerra”. E, in tale memoriale, si ricordava che quella donna era di Rauscedo e di come il conflitto e l’occupazione militare avevano condizionato e oppresso la vita civile e famigliare dei nostri paesi.
Marchi Tullio, fanteria, deceduto in prigioni a Walim nell’Alta Slesia (Germania).
La salma di Tullio Marchi è stata riportata nel cimitero di Rauscedo dopo sessant’anni. Era sepolta nella Fila 9 e nella tomba 64. In onore al suo ritorno a casa e alla sua storia, la comunità di Rauscedo ha organizzato una cerimonia religiosa con S. Messa e con solenne processione fino al camposanto dove le spoglie del combattente caduto sono state sepolte. La celebrazione ha visto anche la partecipazione delle autorità con il sindaco, con i vigili urbani, i carabinieri e la fanteria.
Tullio parte per il fronte alla fine di agosto del ‘43 in servizio alla fanteria a Gorizia. Dopo l’armistizio dell’8 settembre viene prelevato di tedeschi e deportato in Germania ai lavori forzati. In questo periodo i suoi genitori, ignari dell’accaduto, si trasferiscono a Zoppola. Mesi dopo un amico di Tullio, suo compagno di prigionia, invia loro una lettera scrivendo che Tullio era morto il 28 marzo 1945 e nella busta vi erano contenuti dei soldi che il cappellano del campo aveva dato a lui assieme all’orologio di Tullio e ad altri suoi effetti personali. Le ossa di Tullio furono portate a Rauscedo nel 2005.
Il sopravvissuto Fornasier Giuseppe (Sarandel) riporta il suo racconto:
“Una notte io e il Sergente Vivian di Verona, durante un bombardamento, abbiamo trovato rifugio all’intemo di una casupola. Con nostra sorpresa, illuminati all’improvviso dai razzi, ci siamo trovati di fronte a due partigiani russi. Ci puntavano i loro fucili e noi, di rimando, le nostre rivoltelle. Ad ogni bagliore ci scrutavamo a vicenda dritti negli occhi, non si sa chi avesse più paura ma nessuno abbassava la guardia. Con grande sorpresa, con il bagliore dell’ultimo razzo, ci siamo accorti che, grazie a Dio, i due che si trovavano vicino alla porta erano fuggiti. La ritirata dalla Russia è iniziata il giorno di Natale dei 1943, sono arrivato a casa il 27 Aprile 1944. Siamo partiti con i camion poi abbandonati per mancanza di gasolio. Abbiamo proseguito a piedi fino al confine. Per due giorni abbiamo mangiato solo girasoli. Ci tengo a ricordare la generosità dei Russi e anche la loro devozione. Ricordo che durante la Messa celebrata all’aperto, le donne pregavano in ginocchio sulla neve. Quando siamo arrivati sul confine fra la Russia e la Polonia, siamo saliti sulla tradotta che ci avrebbe finalmente portati a casa. Dopo pochi chilometri, mentre pregustavamo la fine delle nostre tribolazioni e sognavamo impazienti il momento dei ricongiungimento con i nostri cari, abbiamo sentito un’esplosione: il nemico aveva fatto saltare la locomotiva e alcuni vagoni che venivano lasciati intenzionalmente vuoti per prevenire proprio questo tipo di attacchi. … così di nuovo a piedi! Sono arrivato a Bressanone e ho trovato mia sorella… Quattro mesi per tomare a casa! …Casa mia. Pesavo 47 chili, sono stato curato dal Prof. Gabrieli di San Vito che leggendo le mie lastre si è espresso così: “Hai le budella come una rete metallica!”. Mi hanno rimesso in sesto con la carne di coniglio! Sono stato poi promosso a Maresciallo Autiere.
D’Andrea Giuseppe (Ansulmuni) morì durante la sua prigionia nel campo di concentramento di Taliza il giorno 2 aprile 1943. Qualche mese prima scrisse una lettera ai propri famigliari:
“Caro Babbo ieri sera a tarda ora il postino di compagnia mi portai, la tua lettera, che da qualche giorno; l’attendevo con molta ansia. Compresi il buono stato di salute di tutti voi specialmodo di te e Mamma. Pure io Babbo sono molto bene ringraziando Iddio. Molto mi ha dato al morale nel sapere l’andamento di colà, l’elevato prezzo del vino delle barbatelle, cui quest’anno ne avete molte … Babbo tocca aver pazienza ritornerà coi prossimi anni a sollevare il morale alla completa famiglia, in particolare a Gino … con il quale periodo che stanno traversando è molto critico per tutti, lo sentiamo più di noi, lontani attendendo pazientemente (lavoro)…”
Lionello D’Andrea fu un reduce dalla deportazione in Germania che raccontò la sua storia. Partì il 17 maggio ’43 da Sacile con destinazione Silandro (BZ) inquadrato nella fanteria nella divisione “Acqui”.
Il 9 settembre fu prelevato dai tedeschi al Brennero e deportato prima a Innsbruck in Austria, sotto bombardamento aereo, e poi, nei carri bestiame, in Germania ad Albestein nell’Alta Slesia. In quella località fu internato in un campo di concentramento formato da piccole baracche. Subì ogni serie di soprusi ed umiliazioni e violenze al rifiuto suo e dei suoi commilitoni di combattere al fianco dei tedeschi. Nei mesi successivi fu trasferito in un’azienda agricola, condotta da un certo Robert Mastitik.
Arrivò il maggio ’45 e Lionello venne liberato dai russi. In ottobre fece ritorno in Italia, prima a Pescantina in provincia di Verona per scontare dieci giorni di contumacia. Giunse in treno a Casarsa e poi a San Giorgio. Sceso dal treno incontrò suo cugino Dante Lenarduzzi di Domanins il quale con la bicicletta corse subito ad avvisare i genitori del ritorno ormai insperato del loro figlio Lionello.
La primitiva chiesa parrocchiale di Santa Maria
La primitiva chiesa ora scomparsa che si trovava nell’attuale cimitero, appare nominata per la prima volta nel 1361 in un inventario dei beni del monastero di San Paolo in Lavanthal (Carinzia) il quale possedeva dieci masi a Rauscedo. Il vescovo di Concordia Nores, che la visitò nei 1584, così la descrive: “la chiesa è di una discreta antichità; è fornita di battistero e di cimitero”.
I documenti che parlano di questo venerando tempio dal 1361 in poi non dicono a quale titolo mariano sia stato esso dedicato ma parlano solo della chiesa di S. Maria senza precisare altro. La tradizione, però, vorrebbe che essa fosse dedicata all’Assunta in Cielo. Questo titolo è proprio delle chiese più antiche della diocesi come ad esempio quelle di Sesto, di Summaga, di Spilimbergo, di Lestans, di Meduno, di Cimolais, di Dardago e altre meno antiche come quelle di Tramonti di Sotto, di Vivaro, di Montereale, di Vigonovo, di Blessaglia e di Brische. Questo titolo attesta la credenza dei cristiani nel dogma dell’Assunzione di Maria, proclamato come verità di fede dal Santo Padre Pio XII il 1° novembre 1950.
Nel 1778 fu rifatto completamente il campanile come risulta dal verbale di vicinia del 1773 e da altri documenti. Nel 1788 fu rifatto il tabernacolo dell’altare maggiore dal lapicida Pietro Pischiutta (o Peschiutta) di Gemona per la somma di 250 ducati. Stando al detto di qualcuno questo tabernacolo dovrebbe essere quello dell’altare di S. Giuseppe dell’attuale chiesa.
Fu demolita nel 1846 e il materiale fu usato per la costruzione dell’attuale. Di essa ci è rimasto una Madonna ora in canonica, il tabernacolo e in paliotto dell’altare di S. Giuseppe nell’attuale chiesa, un lavabo in pietra ora in sacrestia, il fonte battesimale e il portale che ora si trova incorporato nella porta piccola sempre dell’attuale chiesa.
La chiesetta del Sacro Cuore
Collocata nella località Borgo alle spalle del cimitero in via Padre Giovanni D’Andrea di Noda. La chiesetta fu costruita nel 1954 dalla famiglia D’Andrea Natale.

Padre Giovanni fu missionario nell’America Latina. La sua vocazione nacque nel 1939 quando lasciò la sua famiglia e la parrocchia di origine entrando tra i salesiani di Este per frequentare ii noviziato. Frequentò il liceo a Nave in provincia di Brescia e dal ’42 al ’45 durante il duro periodo della Seconda Guerra Mondiale fu inviato a Fiume nella ex Jugoslavia dove i Salesiani avevano un vivace Oratorio. Durante il periodo della Teologia, a Monte Ortone ricordò sempre con simpatia i duri tempi passati a Fiume tra mille difficoltà e pericoli ma anche tra tante amore e affezione ai giovani.

Terminati gli studi di teologia, chiese di partire per le missioni salesiane. Prima in Guatemala, poi Brasile a S. Felix dove costruì una chiesa. Le sue missioni riguardarono anche i villaggi più isolati e sconosciuti. S’impegnò con zelo e generosità nei confronti dei bisognosi e dei giovani che attirò con la musica e lo sport.
Padre Giovanni morì in Venezuela il 15 giugno 1995.
“Preziosa agii occhi del Signore è la morte dei suoi fedeli” (Sal 115) fu la frase che il direttore del Collegio Don Bosco di Pordenone pronunciò nell’omelia della messa in suffragio a Padre Giovanni a Rauscedo.
Il capitello della Madonna di Pompei
In via Borgo Meduna nella vecchia piazza della borgata in cui si raccoglieva il paese nella prima metà dell’Ottocento. E’ un’edicola costituita da un dipinto in sostituzione di uno più vecchio.

Il camposanto e la memoria degli avi
Come tutti i cimiteri, quello di Rauscedo contiene le testimonianze del paese, dei personaggi importanti e di tante storie e aneddoti che sono fondamentali per conoscere bene la storia della comunità. Anche il camposanto di Rauscedo contiene le tombe dei parroci e di artisti e uomini famosi che hanno fatto grande il proprio nome.

Tomba di don Giovanni Delle Vedove
Nella cappella dei sacerdoti defunti è sepolta la salma di don Giovanni Delle Vedove (1899-1976). Nato a Giai di Gruaro il 28 gennaio 1899, don Giovanni fu dapprima curato a Paludea di Castelnovo del Friuli per poi trasferirsi a Rauscedo di cui fu curato dal 21 dicembre 1936 e poi sacerdote, dal 21 ottobre 1957 fino al marzo 1969.
“Ragazzo del ‘99” fu arruolato nella Grande Guerra e fu operativo nella sanità prestando servizio negli ospedali da campo posti nelle retrovie del fronte. A fine guerra fu impiegato nello smantellamento degli ordigni bellici disseminati nelle trincee e nei campi di battaglia. Come tutti i sacerdoti della sua epoca sperimentò i drammi delle due guerre e del periodo martoriato e convulso del biennio dell’occupazione tedesca. Analogamente a don Gallo Moschetta fu studente liceale al seminario di Portogruaro che dovette abbandonare a diciotto anni per partire per il fronte.
Nel 1928 fu ordinato sacerdote dal vescovo monsignor Luigi Paulini. Ebbe subito l’incarico di vicario cooperatore a Bagnarola. Nel 1932 fu la volta di Paludea e poi nel 1936 a Rauscedo. Qui si adoperò molto nelle opere parrocchiali. Fu una sua iniziativa la costruzione della Scuola Materna Infantile nel 1954 e della sala parrocchiale Cinema Don Bosco e la commissione del mosaico intagliato nella lunetta della facciata anteriore della parrocchiale di S. Maria e S. Giuseppe.
Con il suo coevo don Gallo Moschetta affrontò la questione dei confini tra la curazia di Rauscedo e la parrocchia di Domanins e l’assegnazione della chiesetta di S. Giovanni Battista.
Alla stessa stregua di Moschetta, durante il biennio dell’occupazione tedesca in Italia (’43-’45) affrontò i conflitti sociali tra i tedeschi, i partigiani e i civili italiani e si adoperò per proteggere i più deboli e anche fare da mediatore tra le parti. Don Giovanni era riuscito a impedire l’uccisione di due soldati tedeschi favorendo la loro fuga; aveva protetto un uomo dai partigiani che loro volevano confessare e poi eliminare; aveva nascosto in canonica per qualche mese un italiano di origine ebraica Caimo Israel, perseguitato insistentemente dalle squadre tedesche delle S.S.
Nel 1968 chiese di abbandonare l’officio di parroco per motivi di salute. In conseguenza di ciò gli fu concesso di rimanere in parrocchia e di essere seppellito nel cimitero del paese. La morte lo colse il 28 marzo 1976, quarantotto anni esatti dopo la sua vestizione a sacerdote.
Tomba della famiglia Goi
Il progetto di questo sepolcro nasce da un’idea di Nane Zavagno, discussa con lo scultore e successivamente sviluppata dall’architetto Rinaldo Melchiorre. I fratelli Goi, artisti e scultori, hanno scelto Rauscedo, paese di origine della madre Ersilia Fornasier (Alba), per la tomba di famiglia. Il padre Aldo era nato a Ingolstadt-Germania da genitori di origini carniche. Sulla cornice della tomba sono trascritti con lettere in acciaio inossidabile i nomi dei defunti. Il muro del cimitero che fa da sfondo, e che nei tempi precedenti era in freddo cemento, è stato con saggezza trasformato e reso simile alla pietra di cava attraverso una semplice lavorazione obliqua a scalpello. La tomba ha ricevuto la segnalazione al Premio di Architettura della Città di Oderzo.

Tomba di Geniale Fabbro
Questo personaggio, nato a Roma il 14 agosto 1879 e deceduto a Rauscedo il 31 dicembre 1954 e ivi sepolto è stato un grande costruttore e imprenditore della Romania del primo Novecento.
Geniale Fabbro fu figlio di Leonardo Fabbro emigrante friulano di Rauscedo, con origini vivarensi, trasferitosi nella capitale italiana per fare il fornaio. All’età di dieci anni Geniale ritornò a Rauscedo assieme alla sua famiglia al che il padre ricevette l’offerta di emigrare a Bucarest nella capitale romena. In questa metropoli dell’est Europa vi era un gruppo di impresari anch’essi originari del paese di Vivaro che assoldavano maestranze per i loro cantieri. Il giovane Geniale raggiunse quindi Bucarest e, con il fratello Romeo, iniziò l’apprendistato come garzone nei cantieri edili e negli anni successivi imparò l’arte del muratore.
Nel 1910 ebbe luce la sua impresa edile la cui fortuna decollò negli immediati anni a seguire dopo le rovinose guerre balcaniche (1912-13) e dopo la prima guerra mondiale (1914-18). La sua attività fu indirizzata per la gran parte al restauro e alla riparazione dei numerosi edifici pubblici e privati danneggiati dai bombardamenti. Di particolare menzione, in questo periodo, sono i lavori di ripristino della Caserma del Reggimento di Scorta Regale di Bucarest.
In conseguenza di queste preziose esperienze, Geniale Fabbro entrò in contatto con un importante maestro costruttore, Statie Ciortan, fautore in patria della cosiddetta “corrente neoromena”, tendenza stilistica che attingeva il proprio repertorio linguistico nel recupero di numerosi elementi tipici della tradizione architettonica nazionale. Tale “Stile Neoromeno” fu portatore tra le diverse arti della rinascita della nazione romena incarnata nella monarchia del nuovo Regno del 1881.
Il successo del “maestro costruttore” Geniale Fabbro continuò per tutta la prima parte del secolo sino ad arrestarsi al termine della seconda guerra mondiale. Nel 1948 la Romania divenne una Repubblica Popolare e nel 1965 una Repubblica Socialista gravitando attorno all’U.R.S.S. e al Patto di Varsavia. In quest’epoca molti istituti e attività vennero nazionalizzate e altrettante cessarono allorché le prospettive di lavoro si ridussero drasticamente così come mutarono sensibilmente le condizioni di soggiorno per gli stranieri in un paese oramai votato al comunismo.
Nel 1952 Geniale decise di ritornare a Rauscedo, suo paese d’origine. Il suo ritorno fu drammatico: solo e senza moglie, senza vedere quattro dei suoi cinque figli e privato quasi del tutto dei suoi averi. L’impresario italiano dimorò per circa un anno nel campo profughi di Udine. Giunto a Rauscedo, trovò un comodo alloggio a casa di parenti. Visse qui per poco tempo. Geniale Fabbro si spense il 31 dicembre 1954. Rimase ai posteri il suo brevetto di un parafulmine che aveva portato con sé dalla Romania.
La casa natale di Angiolo D’Andrea “colorista audace ed eccezionale”
Nel camposanto possiamo osservare il generoso tributo degli amici artisti milanesi al pittore Angiolo D’Andrea “colorista audace ed eccezionale” che finì i suoi giorni povero e ammalato nel suo paese. Nella via Borgo Meduna si trova la sua casa natale, l’abitazione dove vennero alla luce i D’Andrea del ramo dal soprannome Scieffin.Essa si trova in fondo alla stradina appena passata l’antica Osteria al Favri procedendo verso la chiesa parrocchiale.

Angiolo fu un artista versatile e autodidatta, egli nacque a Rauscedo il 24 agosto 1880, figlio di Celeste e Sofia. Fu pittore, grafico e incisore. Consigliere onorario dell’Accademia di Brera, le opere di Angiolo sono tuttora esposte in molti siti della città meneghina e della regione: chiese, musei, palazzi, caffè e altri luoghi aperti al pubblico.
Compose più di centoquaranta lavori che furono mostrati per la prima volta a Milano nel 2013 per iniziativa della Fondazione Bracco. L’opera più nota e visibile è il mosaico realizzato nel Bar Camparino in Galleria Vittorio Emanuele a Milano. Pittore simbolico e divisionista, nella pittura egli preferì le rappresentazioni sacre, i paesaggi, le nature morte.
Compiute le scuole elementari, per interessamento di una zia, compì i suoi studi a Padova, perfezionando, sotto la guida e gli insegnamenti di esperti professori, lo stile e la tecnica, maturando la sua personalità artistica.
Angiolo iniziò la sua formazione giovanile a Padova e si trasferì in seguito a Milano dopo la collaborazione alla prestigiosa rivista “Arte Italiana Decorazione Industriale” di Camillo Boito. Visse quasi tutta la sua vita nella città meneghina frequentando circoli di pittura ed esponendo le sue tele nelle più famose gallerie.
Nel 1907 completò il suo ciclo di studio e applicazione, e partecipò alla “Esposizione di Primavera” della Permanente. Negli anni successivi Angiolo intraprese una carriera artistica senza interruzioni fino alla metà degli anni venti. Collaborò nella decorazione architettonica con Giulio Ulisse Arata a casa Berri Meregalli a Milano e a Villa Erba a Cernobbio. Il famoso architetto emiliano fu colui che definì Angiolo D’Andrea “colorista audace ed eccezionale”. Dopo fu la volta della Sicilia e la partenza per il fronte bellico nel periodo 1916-’17.
Nel 1910 espose a Brera vincendo il premio Fumagalli con “Mattino a Nemi”. Nel 1919 a Milano, Angiolo collabora alle decorazioni per la Prima Esposizione Lombarda di Arte Decorativa e partecipa nuovamente alle Esposizioni Nazionali di Brera ed espone nell’importante Galleria Pesaro. Espose per la prima volta alla biennale di Venezia nel 1908, il dipinto «Nube rossa» che fu acquistato da re Vittorio Emanuele III. Nel 1920 alla biennale espose «Orbe» alla quale fu assegnata la medaglia d’oro del Ministero della Pubblica Istruzione.
La maggior parte delle sue opere apparve in due mostre personali alla Galleria Pesaro a Milano nel 1921 e nel 1926. Numerosi i suoi dipinti si trovano nella Galleria d’Arte Moderna di Milano. Ebbe modo di viaggiare e conoscere tutta l’Italia, arricchendo così la sua già notevole cultura.
Nel 1922 Angiolo partecipa alla XIII Biennale di Venezia dove presenta l’opera Gratia Plena e, sempre in quel periodo, mette in atto un importante ciclo di dipinti di carattere sacro da lui stesso definito della “Vita di Maria”. Nel 1938 realizzò due vetrate per la sala dei Benefattori nell’ospedale di Niguarda, mentre la Natività è esposta nella parrocchiale di Rauscedo, come abbiamo già visto.
Nel dicembre 1941, Angiolo contrasse una malattia che lo costrinse a fare ritorno al paese natale fino alla sua morte che avvenne il 10 novembre 1942. Il patrimonio completo delle sue opere fu acquistato dall’imprenditore farmaceutico milanese Elio Bracco la cui famiglia, grazie alla Fondazione Bracco e al patrocinio del Comune di Milano, organizzò la prima esposizione delle opere di Angiolo D’Andrea a Palazzo Morando nel settantesimo della sua morte, tenutasi dall’8 novembre 2012 al 17 febbraio 2013.
In questa tomba, i famigliari e il paese lo ricordano.

La vecchia sede: la prima sede dei Vivai Cooperativi e del Caseificio sociale
Via della Chiesa ospita un edificio che ospitò la sede di due società molto importanti per Rauscedo: la Latteria Sociale e la prima sede storica della società “Vivai Cooperativi Rauscedo”. E’ un’abitazione a due piani che oggi viene utilizzata come sede del Gruppo Alpini A.N.A., un ufficio della Federazione Coldiretti, un negozio di alimentari.

Il Gruppo degli Alpini a Rauscedo, associazione attivissima, è molto legata al paese e alle sue tradizioni e da esso è ricambiato. Si costituì il 31 maggio 1962 per iniziativa del dottor Mario Pollastri, enologo presso la Cantina Sociale di Rauscedo, ex alpino nonché volontario operoso in tutto il sociale, esso è stato anche presidente provinciale dei donatori di sangue A.F.D.S.
Gli alpini di Rauscedo conservano la memoria dei combattenti e dei caduti di tutte le guerre, di tutte le armi e i corpi partecipando alle adunate locali e nazionali, ricordano i loro anniversari di fondazione con le dovute celebrazioni rituali; organizzano conferenze su eventi bellici con la partecipazione anche dei reduci. Oltre al loro calendario tradizionale, gli alpini organizzano gli eventi sociali più svariati: raccolte di beneficienza tramite iniziative ludiche, come la Lucciolata per le vie del paese a favore dell’associazione “Via di Natale”; rappresentanza alle celebrazioni di altre associazioni del paese, opere sociali come la riparazione del tetto della chiesetta di S. Giovanni Battista.

Il Monumento alle donne cadute nel lavoro dell’agricoltura
A fianco della vecchia latteria e al negozio di alimentari è stato eretto il Monumento dedicato al contributo delle donne nell’agricoltura, inaugurato il 13 giugno 2021.
L’opera è stata costruita dove sorgeva il vecchio lavatoio, ossia dove le donne passavano una buona parte del loro tempo a pulire i panni per la famiglia e per i mariti che lavoravano al campo. Accanto al lavatoio c’era una pietra che fungeva da panca, come quelle che si possono vedere ancora davanti alle abitazioni più vecchie. Su questa panca le donne passavano il loro tempo libero conversando e scambiandosi pensieri, problemi, emozioni e paure.
Con questa intuizione l’amministrazione comunale ha voluto dedicare l’originale opera, realizzata dalla Scuola Mosaicisti del Friuli, alle donne che non solo hanno aiutato gli uomini, i padri e i mariti, nel lavoro dei campi ma hanno anche prestato il loro servizio quotidiano in casa nei lavori domestici e nell’educazione dei figli, nel tramandare i valori della nostra antica ed eterna cultura contadina.

L’amministrazione ha voluto così porre in rilievo la forte prevalenza dell’agricoltura nel territorio di San Giorgio della Richinvelda e dello stretto legame che intercorre tra la terra magra e la vite da vino che ha vissuto il suo maggiore sviluppo nella frazione Rauscedo.
Villa Crovato (già Villa D’Agostinis)
Ritornando verso la piazza delle Cooperative, al suo inizio, sulla destra incontriamo Villa D’Agostinis già visitata nel viaggio a Domanins e di cui abbiamo già parlato.
L’illustre famiglia D’Agostinis detta anche D’Agostini, D’Agostin o Di Agostino costruì nel Seicento il proprio palazzo sito nell’attuale piazza delle Cooperative (ora di proprietà della famiglia Crovato) con annessa la chiesa gentilizia dedicata a S. Giovanni Battista (1677) quale oratorio e tomba di famiglia e un grazioso parco con laghetto. Sul portale in pietra dell’abitazione si legge ancora: “1699/DI 12 MAGIO/P.M. AG/GUSTI/NI”. Al suo interno, lato cortile, sulla chiave dell’arco in pietra si nota la data “1665”. Sull’altare della chiesetta si nota la data “1677”.
Dal casato dei D’Agostinis nacquero molti uomini illustri: notai, cancellieri, sacerdoti. Nella chiesetta del Battista sono conservate le salme dei sacerdoti Don Giovanni Maria e Don Ottaviano. Qualcuno avanzò la tesi che la chiesetta fosse stata costruita da una comunità di frati che in passato avevano il loro monastero in quella che poi sarebbe divenuta la Villa D’Agostinis.
Si suppose, dunque, che un piccolo monastero di frati, facente parte di un grande convento austriaco, fosse stato costruito in quel luogo di transito e nel suo chiostro fosse stata eretta una chiesetta di campagna dedicata a San Giovanni. Tale chiesetta sarebbe stata costruita proprio sul confine tra le comunità di Rauscedo e Domanins quasi a voler soddisfare le necessità spirituali di entrambi. Ma una tale teoria non è mai stata accreditata. Attualmente è chiusa al pubblico.

Tra la fine dell’Ottocento e gli anni venti del Novecento, sotto il portone della villa D’Agostini si svolgevano i concerti della Banda Musicale di Rauscedo. Era la famosa “Ciantada sot il porton” edizione ripresa anni dopo dalla Corale di Rauscedo in un’abitazione rurale di via della chiesa e già da noi vista prima.
La famiglia Crovato, residente a Pordenone e tuttora proprietaria della villa, aveva in essa la sede sociale e gli uffici dell’azienda di fornaci la Fornaci Crovato SpA.

Il largo antistante la villa D’Agostini si incrocia con via della chiesa e con la via che porta a Maniago. Proseguendo per via Maniago si nota anzitutto un capitello collocato all’angolo con la piazza. E’ il capitello della Beata Vergine; proseguendo oltre incontriamo, a destra e all’incrocio con via Capitello, l’edicola di Sant’Antonio. In fondo alla via Maniago, passata la traversa sulla destra di via Tramontina giungiamo nell’area della fornaci della ditta Crovato. Tali erano le fornaci nuove attive fino al 2013 ed è ancora in piedi la struttura delle fornaci vecchie, anche se ormai diroccate e in via di decadimento totale, situata prima del dosso che ripara il paese dal Meduna.


Chiudiamo questa visita alla vecchia Rauscedo con una poesia del maestro di musica Giuseppe Pierobon (1893-1986):
Dai verdi prati e fertili campagne e dai torrenti serpeggianti intorno, dalle azzurre cime di montagne di cui natura t’ha benigna adorno, a te Rauscedo eterna melodia sale un inno d’amor, di poesia!
Salve, o sereno paese d’incanto, ch’alla gloriosa patria eroi prepara, vivo e fremente a te s’elevi un canto dalla tua gente virtuosa e rara.
Salve a te terra feconda d’amore sempre la man su te posi il Signore.
Al paradiso terreste somigli, in te vivesi placidi e beati.
Gloria, a te gloria, osannan i tuoi figli, sempre al lavoro intenso abituati.
Osanna, osanna paese natio, in sua custodia t’abbia sempre Iddio. Osanna a Rauscedo, osanna a Rauscedo!

***
Torniamo ora indietro, nel largo con la villa Crovato alla propria destra. Proseguiamo ora per piazza delle Cooperative e addentriamoci nella seconda parte di Rauscedo e del viaggio di osservazione e conoscenza, nella sua parte sesta.